Speciale Genova

La presenza cattolica a Genova


La protesta no-global a Genova ha coinvolto tutti i temi, tutti i soggetti toccati dall’oppressione capitalistica. Anche, e in misura non certo trascurabile, i cattolici (e cristiani, più in generale). Una presenza che ha evidenziato come una certa "sensibilità", emersa qui e lì in tutti questi anni in aree come quella del volontariato e dell’impegno sui temi del Terzo mondo, si sia venuta trasformando in lotta.

Sbaglierebbe di grosso chi pensasse semplicisticamente che siamo di fronte alle "truppe di Wojtyla" intrufolate nel movimento per "sviarlo". A parte il dato numerico inequivocabile -segno di tutt’altro che di un’"infiltrazione"- la componente cattolica si è mossa per una spinta reale, su temi che è lo stesso capitalismo globalizzato a mettere all’ordine del giorno. E che a scendere in piazza massicciamente siano stati settori tradizionalmente restii a questo tipo di azione la dice lunga su quanto in profondità stiano lavorando gli antagonismi del sistema. Neppure, poi, si può affermare che questa attivizzazione viene in qualche modo a ruota di quella della "sinistra". In realtà, in assenza di un vero movimento operaio, un certo mondo cattolico ha addirittura anticipato alcune delle istanze profonde emerse con il movimento anti-globalizzazione. Non è esagerato dire, per esempio, che in quest’area, a sua volta assai differenziata e destinata a molteplici scomposizioni e lacerazioni, c’è spesso una sensibilità maggiore che in altre sulle questioni dell’oppressione e dello sfruttamento dei popoli del Sud del mondo.

Certo, è stata la spinta complessiva venuta alla luce con e dopo Seattle a spingere sull’avanscena, e in questo modo, anche le realtà cattoliche, principalmente giovanili. Con quali caratteristiche? Non pretendiamo di esaurire qui un discorso ben altrimenti complesso -anche per le implicazioni di intervento, peraltro indispensabile, dei comunisti verso quest’area- ma alcuni elementi sono già ora chiari. La spinta a un agire deciso, concreto, magari molto moderato nelle forme, ma sicuramente determinato nel voler "stare dalla parte dei poveri". La comprensione, poi, del legame essenziale tra azione locale e contesto globale -con denunce spesso circostanziate degli effetti tremendi della globalizzazione- che non sfocia in una sorta di paralisi da senso di impotenza, ma lavora per collegamenti reali tra le diverse forme di resistenza (tutt’altro, insomma, dalla consegna autoconsolatoria e disarmante del "piccolo è bello"). La stessa scelta non-violenta non è concepita di per sè nel senso passivizzante di accettazione rassegnata della violenza del sistema capitalistico, ma -per lo meno da parte di alcuni- ne viene evidenziato l’aspetto legato alla ricerca (comune a tutto il movimento) di relazioni umane non antagonistiche, non gerarchizzate, non di delega, insomma qualitativamente diverse da quelle proposte da un potere che espropria la collettività. Noi comprendiamo questa esigenza, ma essa potrà essere realizzata solo con una lotta a fondo contro questo potere e non si potrà fare ciò continuando ad alzare le mani.

Si tratta di spinte suscettibili, a date condizioni, di evolvere se anche solo parte di questa gioventù sarà disposta a voler portare fino in fondo l’opzione di "stare dalla parte dei poveri". Scoprirà allora che i "poveri" non sono semplicemente i "deboli" da aiutare caritatevolmente, ma oppressi che possono e debbono ribellarsi con i mezzi e i modi necessari, e con i quali -al di là della provenienza geografica e culturale, al di là della fede che può essere diversa- si tratta di costruire un’unità di lotta. In questo percorso il movimento no-global (e non solo la sua parte cattolica) dovrà fare i conti con l’utilità o meno -e per chi: se per gli oppressi o per gli sfruttatori- di continuare ad andare avanti con le mani alzate, se non vuole frapporre un elemento di divisione con gli altri oppressi, se non vuole farsi strumentalizzare dal ricatto dei grandi poteri che negano a chiunque il diritto di reagire alla vera violenza, quella dell’oppressione, con la violenza degli oppressi, insomma: se non vuole piegarsi alla legge del più forte, del capitalismo.

La borghesia ha capito benissimo tutto ciò. Panebianco sul Corsera ha messo in guardia: "il grosso della Chiesa cattolica sta slittando verso posizioni anti-occidentali", chiamando la gerarchia ad "arginare questo fenomeno" (13/8). Noi diciamo più precisamente: la massa dei credenti cristiani (in certa analogia con quello che sta accadendo da tempo alla massa dei credenti islamici) sotto i colpi di un sistema disumano deve reagire, quali che siano le sue attuali credenze, e deve scontrarsi con i poteri occidentali - laici per definizione, o no?- che gestiscono questo sistema. Sugli altari di questo laicismo imperialista -razionalista, tutto compreso dei suoi bei "diritti universali"... del mercato- si immolano vittime umane per il dio denaro. Sul fronte contrapposto, le masse oppresse dei credenti iniziano a lottare in nome di un altro dio, dietro il quale spunta il "figlio dell’uomo" -l’umanità che ha finalmente trovato se stessa- in una battaglia che sarà all’ultimo colpo. In un testo caro ai cristiani abbiamo letto la seguente espressione: "Non pensate che sono venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma la spada".