Lettere

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.


Indice


Dal Messico

Cari compagni,

la reazione di operai, indios e studenti ai fatti di New York non si può definire di festa, ma sicuramente di soddisfazione... gente che da anni subisce i soprusi dei gringos dominatori non può che salutare con piacere il ritorno del boomerang sulla tesata di chi l’ha lanciato... il commento più diffuso, anche tra i più moderati o estranei alla politica, è in parole molto semplici: "io sono contento, se lo meritano, se la sono cercata...". Direi di più, questo sentimento, questa analisi, che mi sento di condividere nonostante il cordoglio per le vittime innocenti, è diffuso tra tutti i popoli dell’America Latina... Ho conosciuto ragazze e ragazzi cileni, argentini, colombiani, di ogni lato e il commento è sempre lo stesso: "chiunque sia stato, i veri responsabili sono i governi e la politica estera americani del dopoguerra... se la sono cercata". Il governo messicano ha cercato di sospendere i festeggiamenti per il giorno dell’indipendenza nello zocalo per solidarietà con gli Stati Uniti, nei quartieri però la festa si è svolta lo stesso in barba alle autorità... e le battute, forse ciniche, sulle torri che c’erano e ora non ci sono più, sono andate sprecate... questa più o meno è la situazione.

Stefano M.


Comunicato della Lega Immigrati albanesi, Iliria

Ci dispiace per le migliaia di morti nell’attacco alle torri gemelle a New York, ma bisogna dire che non sono i primi morti. Quindi se dobbiamo provare dolore, noi preferiremmo piangere prima i morti del canale d’Otranto e per gli altri immigrati che hanno perso la vita nei mari. Solo nel mare Adriatico sono morte più di 600 persone (dati ufficiali) in eventi i cui colpevoli sono ben individuabili, ma la gente si preoccupa poco di questo.

In generale la gente occidentale si è dimenticata dell’alto valore della vita e sta cercando di capirlo solo quando gli attacchi terroristici giungono a casa loro.

Se dobbiamo parlare di terrorismo questo è presente tutte le volte che muoiono persone innocenti, quindi anche nei bombardamenti su Iraq e Kosovo.

Il terrorismo è vissuto ogni giorno dagli immigrati. Vivono altrettanto il terrore fisico che quello psicologico. Il modo in cui vengono trattati gli immigrati, particolarmente in Italia, è più che terroristico.

La nostra Associazione fa l’ultimo esempio del caso di una ragazza albanese che è riuscita a sfuggire ai "papponi", ma lo Stato italiano la discrimina negandogli quei pochi diritti che gli altri immigrati hanno. Non gli concedono il permesso di soggiorno, malgrado abbia la ricevuta della sanatoria ’98, ed è in possesso di tutti i requisiti. 

Per questo e contro la nuova legge anti-immigrazione del Governo Berlusconi manifesteremo Domenica 14/10 alle ore 14,00 in piazza della Repubblica a Roma.

Roma, 6-10-01

ILIRIA LEGA IMMIGRATI ALBANESI


Capitale, menzogne e repressione!

"La borghesia può far esplodere e distruggere
il proprio mondo prima di abbandonare la scena della storia.
Noi portiamo un nuovo mondo qui, nei nostri cuori
quel mondo sta crescendo in questo istante."

B.Durruti

Martedì 18 Settembre, su ordine del PM milanese Stefano Dambruoso, sono state eseguite, dalla Digos di varie città, centinaia di perquisizioni nelle abitazioni di compagni di tutta Italia, ritenuti parte dell’area anarchico-insurrezionalista.

Con la solita ipotesi di reato di associazione sovversiva viene colpita parte del movimento rivoluzionario italiano: fermi, perquisizioni, disinformazione giornalistica e mediatica sono i metodi ordinari con cui Stato e Capitale cercano di fermare qualsiasi istanza di critica radicale. E, soprattutto dopo Genova, è visibile a tutti il clima forcaiolo e repressivo che aleggia verso quelle componenti del movimento che si pongono al di fuori del merdaio politico-istituzionale.

Non appena il movimento dimostra istanze di autonomia e di critica pratica allo sfruttamento di classe, il volto democratico e dialogante del capitale si disvela nella sua brutalità; ogni qual volta gli sfruttati manifestano la voglia di cambiamento e il recupero istituzionale con dialogo tra le parti viene meno, comincia a farsi sentire il bastone della repressione.

Continueremo comunque ad affermare il nostro rifiuto e a praticare percorsi autonomi ed orizzontali di lotta, convinti che questa società, marcia fino alle fondamenta, sia inaccettabile; che il dominio capitalistico è diventato globale e totale allontanandosi sempre più dalla dimensione umana con la creazione di sempre peggiori nefandezze (cibi avvelenati, organismi modificati geneticamente, precarietà lavorativa, devastazioni ambientali, povertà e miseria, guerre e contraddizioni, instupidimento e noia generalizzata).

In antitesi a tutti coloro che pensano ci sia il tempo e la reale possibilità che tutto ciò possa essere modificato con riforme e compromessi, pensiamo che il capitalismo proceda inevitabilmente verso la rovina dell’umanità: per questo non saremo tra chi crede fino all’ultimo in un suo ravvedimento, bensì tra i compagni e le realtà di lotta che si pongono in maniera chiara e radicale contro il capitale, per accelerare ed unificare le lotte che a livello internazionale tendono all’abbattimento dello stato e della società divisa in classi.

ALCUNI/E COMPAGNI/E DI VENEZIA


La bandiera

Mi sono sempre chiesto perché il reato più grave per la costituzione, non solo quella italiana, fosse l’oltraggio alla bandiera… Allo stesso modo, ho sempre visto con uno strano sguardo, direi di tenerezza e con un errato giudizio di ingenuità forse, l’uomo che portava la bandiera durante le cariche… eccessivo… inutile… Pensieri di questo tipo, ma non andavo oltre…

A Genova è successo qualcosa. A Genova ho dato un senso al tenere una "bandiera" sempre e comunque visibile dai compagni A Genova ho dato un senso alla volontà del nemico di distruggere la tua bandiera…

E allora una bandiera, uno striscione o la compattezza di un gruppo di compagni preparati teoricamente, ma anche praticamente… acquistano un nuovo ulteriore significato: non più uno striscione solo come "slogan rappresentativo di una posizione politica"… bensì anche un riferimento attorno al quale ricompattarsi per dare una risposta istantanea, più pronta ed efficace per quanto possibile, per reagire ad un attacco fisico. Quell’unità e compattezza che non è e non può più essere solo teorica, ideologica, ma, in alcuni contesti come quello di Genova -e più avanti credo, in misura purtroppo maggiore- che ha bisogno di essere difesa anche e soprattutto fisicamente…

Così ora non ricordo bene cosa fosse scritto su quello striscione… Ricordo che chi portava quello striscione erano compagni che conoscevo e che, anche quando non conoscevo di persona, ne ri-conoscevo le analisi, le argomentazioni, gli ideali e che era a quel gruppo di persone che volevo dare la mia presenza, per poterne avere il riferimento rassicurante dell’unità. Ricordo che il cordone di quello spezzone non si allontanava mai dallo striscione, anzi lo difendeva formando un perimetro compatto di compagni con guanti, bastoni in legno, caschi gialli e arancioni e mascherine… il segno che lì, lì e non altrove, avrei potuto avere una possibilità su cento in più di restare in piedi… Nei momenti più concitati, il cordone si faceva ancora più serrato intorno allo striscione, per difenderlo e portarlo alla fine del corteo e con lui tutti quegli altri compagni che, man mano, si aggiungevano a quello spezzone, trovandovi un riferimento minimo rassicurante…

Il livello era mutato, è triste ed è vero… eppure già quella capacità e soprattutto volontà di tenere la visione e il quadro della situazione, in particolar modo in quelle condizioni, era una manifestazione di forza…

Tutto ciò ben sanno anche le forze di polizia che scientificamente, in una impeccabile strategia di distruzione del corteo, lo hanno attaccato subito dopo il passaggio dei gruppi più organizzati. Non prima e non dopo! (…)

Insomma perché questa storia della bandiera? C’è un perché… che sta nel ricordare che una "bandiera", ovvero un simbolo, un pensiero… ha bisogno di essere argomentato, costruito e manifestato, ma, ora più che mai, difeso anche fisicamente. E con la dovuta preparazione. Un perché che sta nel constatare che discutere appassionatamente, ed argomentare le proprie ragioni, è insufficiente se non ci si cura del modo in cui difenderle in piazza ma non solo in piazza, anche fisicamente, da una repressione poliziesca che non ha bisogno di legittimazioni per scatenarsi sempre e comunque (…).

Franco L.