E poi venne anche la Macedonia…


Senza i bagliori delle bombe ed oscurato dai venti di guerra della nuova "giustizia infinita" occidentale contro le masse arabo-islamiche, si sta consumando l’ennesimo dramma jugoslavo. Che la fine dei bombardamenti "umanitari" sulla Serbia ed il Kosovo fosse solo una pausa, e nemmeno troppo lunga, nell’infame guerra con cui i banditi d’Occidente continuano a martoriare i popoli della ex-Jugoslavia, lo avevamo ricordato già nel precedente numero del giornale. La ricreazione, infatti, è finita. Dopo aver ridotto il Kosovo ad un protettorato dell’imperialismo, dopo averlo ripulito a suon di rappresaglie di tutti gli elementi serbi, rom ed albanesi recalcitranti, dopo aver installato a Belgrado un governo "democratico" che aprisse definitivamente le porte ai vampiri occidentali, dopo l’arresto di Milosevic, l’opera andava completata scardinando altre resistenze, disciplinando e ammonendo chi non si subordina ai dettami imperialisti.

Scontato che la campana suonasse per la Macedonia che, nonostante il controllo militare diretto degli USA, rimane colpevole di indisponibilità al coinvolgimento nel conflitto balcanico, indisponibile a favorire con la sua deflagrazione quel processo di balcanizzazione infinita che va ben al di là della ex-Jugoslavia.

Il fronte macedone si è aperto secondo un copione già tragicamente visto: attizzamento dell’odio etnico, destabilizzazione delle istituzioni macedoni, scontri armati tra i "liberatori" dell’UCK (armati e protetti in quella formidabile base militare in cui è stato trasformato il Kosovo) e l’esercito nazionale macedone. Infine è arrivato anche l’ennesimo processo di pacificazione diretto dal fior fiore dei macellai occidentali del calibro di Solana e Robertson che rappresenta la giusta dose di benzina per accrescere l’incendio. L’ipocrita consegna "spontanea" delle armi dell’UCK alle forze della KFOR (missione "Raccolta essenziale") e lo "spontaneo" cedimento del governo macedone alle rivendicazioni albanesi a suon di bigliettoni (42 milioni e mezzo di euro) non chiude la partita. E non solo perché l’occupazione militare delle truppe occidentali dietro il paravento della pacificazione vedrà all’immediato l’inevitabile rinvigorirsi del nazionalismo macedone, non solo perché quell’UCK assoldato dall’imperialismo per fare il lavoro sporco scalpita per incassare la paga per i servigi resi. Ma soprattutto perché non sono venute meno le ragioni che spingono l’imperialismo, americano innanzitutto, ad intensificare ulteriormente l’aggressione ai Balcani e per questa via al mondo intero.

Prima tra queste la necessità di piegare quei popoli balcanici che non danno segnali, nonostante le sonore lezioni già loro impartite, di piegamento sotto lo scudiscio occidentale. Anzi. Le manifestazioni dei macedoni, le barricate sulle strade e sulla ferrovia per impedire l’ingresso delle truppe NATO, i sassi lanciati contro i veicoli della KFOR (con il primo morto inglese), sono il segno inequivocabile del crescente rancore contro gli stati imperialisti di cui avevamo avuto sentore durante i bombardamenti su Serbia e Kosovo persino nelle "democratiche" e "antiserbe" repubbliche del Nord.

Seconda ragione, la posta in gioco: le più grandi riserve petrolifere inesplorate del mondo che sono nell’area del Mar Caspio e il controllo delle rotte degli oleodotti che da qui arrivano all’Europa attraverso Mar Nero e Balcani.

Lo espresse bene, pochi mesi prima dell’attacco alla Serbia, il Segretario all’Energia di Clinton, Bill Richardson: "Qui si tratta della sicurezza energetica dell’America. Si tratta anche di prevenire incursioni strategiche da parte di coloro che non condividono i nostri valori. Stiamo cercando di spostare questi paesi (quelli a ridosso delle rotte n.), da poco indipendenti, verso l’occidente…Vorremmo vederli fare affidamento sugli interessi commerciali e politici occidentali, piuttosto che prendere un’altra strada. Nella regione del Mar Caspio abbiamo fatto un investimento politico consistente, ed è molto importante per noi che la mappa degli oleodotti e la politica abbiano esito positivo" (The Guardian, 15 febbraio 2001). Va da sé che in questo quadro non solo non c’è pacificazione per la Macedonia, destinata a diventare un protettorato occidentale, ma entrano nel mirino la Bulgaria, la Grecia e, per questa via, la Russia e l’Asia tutta.

Al di là del momentaneo tubare a ridosso dei fatti americani dell’11 settembre, la Russia, o per meglio dire la sua necessità di porre un freno all’invadenza dell’imperialismo occidentale almeno nel suo "spazio vitale", continua a rimanere uno degli obiettivi dell’offensiva imperialista. Nel contempo, però, va crescendo anche lo scontro tra USA ed Europa. In maniera sempre più evidente la politica di Washington oltre che destabilizzare l’area balcanica, punta sempre più ad indebolire la già debole azione concorrente dell’Europa ed in particolare della Germania. Proprio in Macedonia è emersa con maggiore evidenza la rottura del sodalizio tedesco-americano, esemplificata dal niente affatto accidentale attacco alle truppe tedesche da parte dell’Armata Nazionale Albanese in risposta alla fornitura di armi fatta dal governo tedesco al governo macedone che avveniva a fronte, guarda caso, dell’armamento da parte americana della componente macedone dell’UCK. Il ritiro della quasi totalità delle truppe tedesche dalla Macedonia e l’accordo di Ohrid, fortemente ostacolato dalla Germania, segnano un punto a favore dei super-padroni yankee, rinviando a tempi migliori la possibilità per la Germania di fare "paccotto" per suo schifosissimo conto. D’altro canto l’arraffatutto americano e le velleità di "grande Albania" autonoma dall’imperialismo mai sopite nell’UCK (con cui certamente fare i conti domani ma all’oggi ancora utili all’uopo) suscitano qualche preoccupazione nella stessa nostra Italietta sul rischio concreto di vedersi tagliata fuori da quello che è considerato il proprio giardino di casa.

Tant’è che mai come in questo caso non si è levata voce alcuna sull’ennesimo impegno militare italiano, meno che meno da quella sinistra che ha applaudito all’arresto del "macellaio" Milosevic. Nessuna strage da punire, nessuna fossa comune da scoprire, come nella vergognosa campagna che ha accompagnato l’aggressione alla Serbia, ma solo, finalmente, la chiara, necessaria difesa dei nostri nazionalistici interessi economici che mette tutti d’accordo.

Persino quei pochi che pure qualche sussulto avevano avuto di fronte alla barbara aggressione alla Serbia sono oggi in silenzio. Un silenzio che, per troppi, è il frutto avvelenato dei tanti distinguo di allora appagati, oggi, dalla vittoria della "democrazia" in quel di Belgrado e dalla giustizia per mano della mafia dell’Albright che ha in pugno il Tribunale dell’Aia. A pagare per questo silenzio, per l’indifferenza alla loro sorte rimangono i macedoni come gli albanesi, i serbi come i kosovari, tutti carne da cannone per gli sporchi interessi del capitale occidentale. La Jugoslavia è il mondo. Non c’è destino diverso per chi osa ribellarsi all’imperialismo, per chi vuole sottrarsi all’affamamento e alla rapina. Meno che mai può essere pace quella imposta dagli assassini dell’occidente. La pace, quella vera, può essere imposta solo con la guerra di tutti gli oppressi al seminatore di morte che è il sistema capitalista.