Speciale Genova

Una violenza da regime fascista?

No. Una violenza perfettamente democratica


Indice


Anche noi abbiamo visto la violenza poliziesca all’opera a Genova, anche se, per "fortuna" (e, se ci è concesso, grazie ad un certo attrezzaggio preventivo e conseguenti comportamenti in piazza) non l’abbiamo sentita direttamente sulla nostra pelle. Il secondo fatto non ci fa meno attenti ad essa, perché chiunque e in qualsiasi circostanza ne sia stato oggetto ci riguarda direttamente come questione nostra. Quindi: non siamo stati, non siamo e non saremo secondi a nessuno nel denunziare tale violenza, per quanto in questo numero di giornale -che esce a una certa distanza di tempo dai fatti e che, in ogni caso, data la sua cadenza, non può prefiggersi compiti prioritari di (contro)informazione- il lettore non ne troverà gran traccia. Tutto è già stato visto, sentito e raccontato più che a sufficienza e a tanto ci basta rimandare chi ci segue.

Il nostro vero compito, assodati i "fatti", sta su tutt’altro piano: dare di essi una reale chiave di lettura marxista e, con essa, tracciare delle reali prospettive d’azione, allo stesso modo marxiste.

Deluderemo qualcuno, di primo acchito, ma la prima cosa che noi sentiamo di dover fare è prendere risolutamente le distanze da tutte le chiacchiere ed i piagnistei che si riassumono nel senso comune sulla "polizia fascista", la "polizia cilena" eccetera eccetera.

Questi epiteti roboanti possono sembrare al senso comune terribilmente "duri", "radicali". In effetti, in essi si riassumono una falsa spiegazione dei fatti e una falsa prospettiva "correttiva". Si vorrebbe dire con essi che questa violenza dipende da orientamenti particolarmente repressivi connessi al particolare governo di centro-destra berlusconiano o magari, secondo talune versioni più "sofisticate", dalla specifica influenza esercitata su di esso dalla super-destra di An, l’ala "fascista" della Cdl per eccellenza. Una sorta, quindi, di deviazione, di fuoriuscita dall’ambito costituzionale, degli apparati polizieschi dello stato. Con l’ovvia conseguenza che si tratta, perciò, di ristabilirne legalità democratica e legittimità costituzionale. Come? Con una multiforme opera di ri-democratizzazione da ottenere, a seconda dei gusti, attraverso una pressione di massa o un’azione di "fermo controllo" parlamentare o tutt’e due le cose combinate assieme (o, ancora, con l’aiuto dell’intervento di Bruxelles!). Dateci la polizia giusta e tutto andrà di nuovo per il meglio: il potere reale potrà decidere quel che gli pare, ma noi potremo "democraticamente" manifestare senza manganellate sul groppone e la "normale" vita democratica del paese sarà così ristabilita.

Tutto falso, ovvero: tutto consono ad un programma "riformista" di conservazione dello stato attuale delle cose, del sistema capitalista nel suo unitario e immodificabile complesso, proprio mentre la "quieta" stagione che ha alquanto "addolcito" negli ultimi venti anni l’uso della violenza dispiegata da parte delle forze dello stato (ma solo per l’affievolirsi della conflittualità di classe) va definitivamente chiudendosi.

Ebbene no. Questa violenza non ha niente di "cileno" e "fascista". È perfettamente italiana (ed europea, occidentale) e perfettamente democratica. (Attenti: quando diciamo democratica parliamo della democrazia imperialista ed il termine non ne attenua affatto i tratti disgustosi, per noi almeno). L’idea che le botte e il sangue costituiscano una prerogativa del fascismo (sudamericano, per di più) non corrisponde in alcun modo alla realtà e serve solo a mistificare il senso della democrazia (e del fascismo) in riferimento al sistema capitalistico ed alle sue inesorabile leggi.

Tanto per limitarci al "popolo di Seattle", ricorderemo agli scordarelli che in Usa la polizia del democratico Clinton, quello del poster promozionale del Manifesto, a suo tempo, ha fatto gli sfracelli che ben conosciamo, che a Praga la polizia candidata a entrare nella democratica Europa a pari titolo di dignità si è distinta non solo in botte da orbi, ma persino in stupri perpetrati nelle democraticissime caserme di detenzione, che nella democratica per eccellenza Svizzera ("neutrale", per aggiunta) i mezzi preventivi messi in atto per... garantire il democratico dissenso hanno comportato l’uso di carri armati e che nella socialdemocratica (e quindi più che democratica) Svezia non si è andati giù meno duri, tanto che se non c’è scappato il morto, c’è scappato "appena" un morto-vivente, opportunamente messo in condizione di vegetare senza possibilità ulteriori di far danni. Per chi, poi, se lo fosse scordato, a Napoli, come denunciato nel nostro supplemento per Genova, le bastonate sono state elargite con generosa abbondanza a colpi di ... Ulivo. Dove sta la differenza con l’Italia, pardon: il Cile? Nella pura fantasia mistificatrice degli "autentici democratici" del "dissenso".

Fatti e misfatti di ieri

Nelle "roventi" sedute parlamentari sui fatti di Genova abbiamo sentito Ds, Verdi, "comunisti italiani" e, quasi quasi, rifondaroli "rimpiangere", contro Berlusconi e la sua premiata ditta a delinquere, la vecchia Dc quale garante dell’ordine democratico senza inopportune violenze fascio-cilene.

Qui la mistificazione ha raggiunto davvero il suo punto estremo. Facciamo grazia ai variegati ex-Pci di ricordar loro l’interminabile mole di denunzie passate sulla violenza di questa cara, vecchia Dc (e, agli ex-estremisti, quelle sul "fanfascismo" e simili), e ci atteniamo puramente ai fatti, quei fatti che i giovanissimi non possono ricordare e che si tenta così maldestramente di nascondere. Cosa fece la democratica Celere, da Scelba in poi, se non bastonare, incarcerare (per migliaia di anni), e uccidere i "sovversivi" dal ripristino nel ’45 della democrazia in poi? I morti di Modena, Melissa, quelli commissariati al bandito Giuliano in Sicilia, la spietata repressione dell’Amiata dove sono andati a finire? E nel luglio ’60, proprio a Genova ed a Reggio Emilia, davvero fu garantito il "legittimo dissenso", o non ci furono morti a bizzeffe? O non ci furono neppure dopo, negli anni dal ’68 al ’77, senza parlare dell’inaudita repressione carceraria per cui l’estensore di un volantino sovversivo, o il conoscente di esso, si beccava anni di galera a fiotti?

Decidetevi, cari i nostri nostalgici della vecchia Dc: o quella montagna di morti e reclusi se l’erano meritata in quanto "veri terroristi" (seppure scesi in campo su indicazione ed istigazione di capi... innocenti), o c’è ben poco da rimpiangere. Se c’è qualcuno che ha ereditato il lascito di quella vecchia Dc è proprio Berlusconi (e, prima, l’Ulivo). La differenziucola che giocherebbe contro Berlusconi starebbe unicamente nel fatto che, oggi come oggi, non esiste più quel "pericolo sovversivo" contro cui, giocoforza, occorrevano manganelli, carceri e pallottole; che, grazie ad essi, la sinistra, fattasi matura ed entrata così nel gioco del governo, ha ristabilito un ordine democratico in cui dovrebbe essere legittimo per tutti manifestare un innocuo dissenso garantito dall’Ordine Pubblico. Che ragione c’era di picchiare quelli del GSF con cui si erano concordate tutte le opportune strategie di manifestazione del "dissenso"? Sarebbe bastato picchiare e incarcerare e, meglio, eliminare preventivamente in modo "pacifico" i "veri sovversivi", non i compagni di strada... Ne riparleremo.

Fatti e misfatti di oggi

Ci dispiace dover andare controcorrente, come al solito. Primo dato: il governo Berlusconi ha motivi legittimi per rivendicare la propria continuità con il governo precedente in materia di misure d’ordine. (A proposito: chi ha preparato i Gom alla tutela dell’ordine democratico, di cui han dato prova a Bolzaneto, se non un certo ex-ministro della giustizia... Diliberto "comunista italiano" del democratico governo di centro-sinistra?). Da esso ha realmente ereditato strutture, uomini deputati alla "sicurezza" e strategie. Non ultima, di queste, quella della concertazione col Gsf, sino ai suoi Casarini (dotati di collegamenti cellulari diretti con la questura), per garantire non solo un normale svolgimento delle manifestazioni di "protesta", ma financo la simbolica violazione della zona rossa (sull’esempio della simbolica violazione delle reti della base Nato di Aviano commissionata ai capi delle "tute bianche" su libro-paga del precedente governo). Naturalmente, e qui sta il punto, questa concertazione si sarebbe dovuta tradurre in una parallela mobilitazione attiva da parte del Gsf contro i reprobi sovversivi, ed è quanto è venuto meno per l’evidente (e per noi assai promettente) impossibilità da parte di Agnoletto & c. di incanalare la protesta vera di massa nell’alveo prefissato. È perfettamente vero: nel blocco appaltato al Gsf c’erano abbondanti "infiltrazioni" di elementi (e non parliamo in primo luogo del "famigerato" black bloc) che volevano manifestare sul serio una reale, radicale opposizione al G-8 fuori dagli schemi concordati.

Secondo: questo benedetto Gsf, ad onta del suo proclamato pacifismo, aveva tutto l’interesse ad alzare il tiro oltre il consentito (da Ruggiero-Agnoletto) contro questo governo, indipendentemente dal pretesto G-8 (bellamente dimenticato in occasioni precedenti, quando i giottisti stavano nell’Ulivo: vedi Napoli), per un gioco di contestazione anti-governativa giocata strumentalmente sulla piazza a favore di possibili giochi elettoral-parlamentari. Un esempio paradossale su tutti: i Ds che, dopo aver preparato diligentemente il G-8 a Genova nella speranza di poterlo amministrare in prima persona come governo, scoprono a un tratto che questo vertice "non s’ha da fare", nè oggi nè mai (a meno che non siamo "noi" a farlo) e decidono addirittura di scendere in piazza... contro i se stessi di ieri. Le cene "di lavoro" con Blair e Clinton per preparare l’aggressione alla Jugoslavia (dove, ci sembra di sapere, qualche morto in più che a Genova c’è scappato) andavano bene, come andavano bene tutti gli altri appuntamenti G-8, anche se funestati da "insignificanti incidenti" di percorso: non andava più bene questo vertice con questo governo. Insomma: l’Ulivo intendeva chiaramente utilizzare le manifestazioni "pacifiche" di piazza, via i suoi strumenti ausiliari tipo Casarini, per "creare casino" e, quindi, un’opposizione di massa riconducibile al gioco parlamentare; il tutto senza impegnarsi in prima persona -il che è estremamente significativo!- e senza, però, calcolare la possibilità che il tutto potesse sfuggire di mano.

È la polizia di sempre...

Non ci stupisce che, in queste condizioni, la polizia abbia inteso, anche al di là dei limiti prefissati da Berlusconi, "fare chiarezza" e andare giù duro. Non, dunque, imbeccata dal governo che, semmai, aveva altrimenti disposto le cose, tanto che i sindacati di polizia oggi recriminano contro il governo per essere stati lasciati soli prima, durante e dopo Genova. Ma neppure una pretesa "autonomia" da parte delle forze dell’ordine andate "per conto loro". Governo, polizia e (una certa) opposizione vanno, ognuno con un ruolo specifico, e tutti insieme, per conto del capitale.

Serve una piccola spiegazione. Per i marxisti lo stato non è un ente autonomo, ma una struttura di servizio della borghesia. I vari governi, che possono essere anche diversissimi formalmente l’uno dall’altro, rappresentano una funzione dello stato e, quindi, uno strumento della borghesia. Le forze dell’ordine, della magistratura, del clero, della cultura di stato non hanno diversa funzione. Tante specificità, nessuna autonomia: il centro di comando cui tutti questi organismi ubbidiscono è uno solo, impersonale. Di tutti questi organi del potere, quello di governo è il più instabile e mutevole. I governi possono cambiare, e l’Italia ne è maestra!, ma solo per meglio adattarsi alle mutevoli esigenze dell’immutante potere. Nel ’45 abbiamo assistito al cambiamento massimo: dalla dittatura aperta alla democrazia (cioè, sempre per noi marxisti, ad un’altra forma della dittatura borghese, la più subdola e perfezionata). Mussolini messo al muro (cosa che ci avrebbe fatto un enorme piacere se a metterlo in quel meritato posto fosse stato, come non è stato, il proletariato), ma più che mai sugli altari quelle forze economiche che l’avevano promosso e utilizzato (la Fiat, la Pirelli, la Breda coi loro manifesti "Vincere", sino all’Iri, specifica creatura del fascismo). Con la democrazia abbiamo avuto una "libera" pluralità di partiti (legati tutti, a diverso modo, al capitale nazionale), una "libera" pluralità di sindacati (compresi dello stesso compito), "libere" elezioni dall’immutabile verdetto unico pro-capitale, ma soprattutto abbiamo avuto "libere", democratiche forze dell’ordine, della magistratura etc. basate, oltre che sugli stessi continuativi interessi, sullo stesso continuativo personale. Cambio, dunque, non solo di governo, bensì di regime, ma tutti questi organi sono rimasti fondamentalmente gli stessi. Nessun motto è più appropriato a descrivere la cosa di quello dei carabinieri: "Nei secoli fedele", fedele al capitale, alla borghesia. Nulla vi è stato di più ridicolo, in Italia, della cosiddetta "epurazione" con Togliatti ministro della giustizia; e, d’altronde, era possibile epurare i cani da guardia lasciando al proprio posto i loro padroni?

La polizia in forze a Genova è quella che era sotto l’Ulivo, sotto la vecchia cara Dc, sotto il fascismo. Berlusconi non vi ha apportato alcun cambiamento "negli ultimi venti giorni". L’ha solo presa in consegna, non per sè, ma per le forze superiori cui deve rispondere.

...e come sempre, fa politica.

Eppure, si dirà, anche da chi concorda con la nostra analisi, si deve quantomeno riconoscere il fatto che la polizia è andata in qualche modo "per conto suo", ha trasbordato e va rimessa, di conseguenza, in squadra.

Non è così. L’azione "specifica" della polizia a Genova non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi. Essa non cercava il morto, che c’è "scappato", ma ha segnalato, anche rispetto alle intenzioni ed alle indicazioni governative, un problema di fondo per la borghesia: di fronte alla qualità dello scontro di classe che è in incubazione non basta più la titubante politica mediatrice di un Berlusconi e di un Ruggiero. Sta bene che costoro lavorino a compattare anche una falsa opposizione alle leggi del capitale, a dividere il movimento anti-global in buoni e cattivi, ma questa divisione va accelerata e approfondita dando il segnale di una determinazione marcata da parte delle forze del capitale per mettere ciascuna forza presente nella condizione di doversi nettamente e decisamente schierare. Non bastano più le buone (e sincere) dichiarazioni d’intenti del Gsf sulla non-violenza ed altre simili amenità, dal momento che, inevitabilmente, tra quelle stesse fila si "infiltrano" i "sovversivi". Occorre un atto di forza che renda perspicuo il messaggio di fondo: nessuna opposizione vera può essere più tollerata, quand’anche trasversalmente annidata "dall’esterno" in movimenti di per sè lealisti come il Gsf.

Può ingannare l’attivismo di certa magistratura contro gli "eccessi" polizieschi, ma -anche a prescindere da quelli che saranno gli esiti di tale sollecitudine, e cioè la riconferma dell’impunità degli apparati di polizia in quanto tali, confermata e non smentita da eventuali provvedimenti contro singoli che si siano eccessivamente "esposti" oggi- la sostanza non cambia. Una parte della magistratura "picchia" le forze dell’ordine intendendo picchiare il Polo, ma per difendere la sostanza, perfettamente democratica, della dittatura capitalistica entro cui mantenere una nicchia di poteri e privilegi sub specie di presunta "autonomia". Un film già visto: quando si arriverà al dunque, anche i recalcitranti si allineeranno (spontaneamente o meno), non prima però che qualcuno nel movimento si sia illuso di confidare nella sponda offerta dalla parte "buona" della magistratura. Insomma, sulla sostanza l’azione poliziesca ha avuto (borghesemente) ragione.

Dice il Polo oggi: quel Gsf con cui abbiamo trattato (e concordato sul serio, da partner di una stessa cordata) si è dimostrato inaffidabile, o quanto meno impotente, a svolgere esso stesso la funzione di polizia ausiliaria che gli avevamo assegnato (secondo le sue richieste). Dice l’"opposizione": il Gsf non meritava questo trattamento perché si è impegnato sul serio contro le "provocazioni" e lo dimostreremo meglio in seguito, sempre che la polizia sia ricondotta all’... ordine "democratico". Lo stesso Bertinotti si fa in quattro per denunziare i "provocatori" su cui la polizia ha "subdolamente" giocato, predicando ai suoi di alzare il livello di attenzione per non offrire pretesti, per "isolare" i "violenti" (magari grazie all’intervento provvidenziale, questa volta non a mani alzate, dei vari Casarini).

Su questo punto essenziale, dunque, la polizia ha vinto la sua battaglia: anche la rivendicazione di una "riforma" della polizia viene asservita allo scopo che essa ha indicato. La cauzione offerta ad essa (il che è già una favola!) dal Gsf e consimili è la repressione della "provocazione violenta" (della massa).

Un nuovo, squallido "patto di pacificazione"

Naturalmente, i democratici di sinistra si illudono con ciò di ristabilire un certo ordine "normale", entro cui sia consentito agli "oppositori" di far sentire la loro "libera" (e ininfluente) voce di opinione, e ai loro rappresentanti istituzionali di convogliarla verso i tranquilli lidi parlamentari disinnescandone qualunque velleità "alternativa".

Ci si consenta, di nuovo, un parallelo storico. Nel primo dopoguerra i riformisti del Psi arrivarono a firmare coi fascisti (veri) un "patto di pacificazione" contro i comunisti perturbatori dell’ordine nell’illusione che si potesse così fermare l’"illegalismo" fascista grazie proprio alle forze di polizia (tuttora democratiche) dello stato, una volta convinte della ragionevolezza dell’opposizione lealista (che si faceva nel frattempo carico di disarticolare l’opposizione sociale vera). Che le cose non siano poi andate precisamente così, è storia. L’attuale "opposizione", anche "estrema", del tipo Bertinotti, ripete la stessa via dei riformisti di allora. Anch’essa ha firmato il suo bel patto di pacificazione (bipartisan, non è cosa nuova!); anch’essa si prepara così la fossa: e fin qui nulla di male, se non la preparasse all’insieme del movimento. Dal ’20 al ’22 abbiamo assistito a questo gioco, che oggi ignobilmente si ripete, di reprimende sulle "scorrettezze" della polizia di stato contro le forze "democratiche" (anziché contro i soli rivoluzionari) e, assieme, di inni alla non-violenza, alla pace sociale, alle regole della "normale dialettica politica eccetera eccetera. Ed anche allora abbiamo assistito a "eccessi" polizieschi sotto governi perfettamente democratici (Giolitti!) che preparavano i tempi "puliti" a venire. Anche allora: prima questi "eccessi", poi l’opportuno cambio di governo utile alla borghesia incubato in primo luogo dalla resa senza discrezione del riformismo (salvo poi a pagarla cara, come si conviene ai venduti una volta dimostratisi inservibili). Ed anche allora qualche sussulto da parte della magistratura contro le "intemperanze" poliziesche e fasciste prima di passare armi e bagagli nel "nuovo ordine" ripulito da sovversivi veri e oppositori di mezza tacca.

Oggi la destra sente che, nelle condizioni di aperto scontro sociale che vanno maturando, nessuna voce neppure di una imbelle, lealista e piagnucolosa opposizione può essere tollerata perché inevitabilmente essa reca con sé il pericolo di un debordamento nel senso di un’opposizione vera, intollerante degli innocui confini entro cui la si vorrebbe rinchiudere. (Ciò che vale parimenti, e forse ancor di più vista la maggiore vicinanza ad alcune istanze delle masse del Sud del mondo, per la forte presenza cattolica rispetto a cui la chiesa è chiamata a far piena luce sull’"equivoco" dell’antiglobalismo di cui sbarazzarsi al più presto, come richiesto esplicitamente dal Corsera negli editoriali-raffica del dopo-Genova). Se un appunto, da questa parte (da parte della borghesia), viene fatto al governo Berlusconi è quello di eccessiva titubanza nel garantire l’ordine. Beninteso: non si tratta semplicemente di muovere la polizia per reprimere i "sovversivi", ma di mobilitare le proprie stesse "legioni" nel garantire alla polizia stessa una copertura sociale attiva di massa a tale scopo. È, in sostanza, il messaggio che viene da un Feltri: Berlusconi ci ha deluso, corre troppo dietro la "contrattazione" con l’opposizione e non sa mettere in campo una propria forza d’urto parallela. Di qui una nascente campagna a sostegno non solo e non tanto delle "vilipese" forze d’ordine, quanto per la mobilitazione di piazza di cui s’è detto, perché la piazza non deve dividersi tra polizia e manifestanti, ma tra manifestanti rossi e manifestanti bianchi (o anche rosè, alla Scheidemann-Noske) con la polizia a supporto di questi ultimi.

Come rispondere alla repressione democratica

Quello che è emerso, dopo Genova, da parte dei "portavoce" del Gsf (e affini) -oltre ai mille e uno richiami allo stato "garante" della "legalità"- è l’incontenibile vocazione a piangere sulle botte prese, le illegalità dei "fuorilegge" e la "ingiusta" copertura ad esse fornita da parte (di corpi deviati) dello stato. Questo pianto greco è l’altra faccia della resa preventiva al sistema borghese o, meglio, della candidatura a farsene in prima persona strumento di governo. È l’esatto opposto di ciò che i comunisti fanno: dalla violenza necessaria dello stato far trarre per tempo delle lezioni alla massa ammaccata (per inesperienza, per immaturità politica, per impreparazione, per le consegne disfattiste dei suoi attuali "capi"). Di quest’ultima va raccolta e spinta in avanti la volontà di battersi (di cui l’ingenua fede nella democrazia super partes, quando essa non entri in rotta di collisione con quella volontà, esprime l’istanza di essere in campo in prima persona). La strada da percorrere perchè il potenziale di lotta del "popolo di Seattle e di Genova" non vada disperso, anche sul terreno della risposta alla repressione, è quella della radicalizzazione della lotta e dell’autorganizzazione, dell’allargamento del fronte degli sfruttati e, insieme, dell’approfondimento politico del senso complessivo della battaglia intrapresa che è, al fondo, lo scontro tra due sistemi sociali antagonisti e inconciliabili. In questo cammino la massa dei dimostranti di Genova e, più in generale, del proletariato dovrà realizzare che lo stato democratico è posto a puro ed esclusivo presidio dei poteri forti, che dunque va affrontato non con le mani alzate di fronte ai bastonatori, ma con le mani organizzate contro di essi (magari in nome ancora della democrazia, ma di un’altra "democrazia" in grado di affermare i propri bisogni antagonisti e di organizzare la loro difesa). Altro che richiesta di "democratizzazione" della polizia e di ripristino delle "normali regole democratiche"! È contro il capitalismo, rivestito nelle metropoli (oggi un po’ meno) "affluenti" dei panni della democrazia (sempre più "blindata"), che gli sfruttati devono già oggi attrezzarsi idealmente e fisicamente.

La stessa esigenza di autodifesa di massa che si è levata dall’interno del movimento, di per sè giustissima, non può essere dunque -pena la sua impotenza- dissociata da questo indirizzo di battaglia anticapitalistico. L’autodifesa dei democratici "organici" alla Bertinotti implica un accentuato richiamo alla costituzione, al parlamento, insomma allo stato. La nostra, l’autodifesa su un terreno di classe, implica l’esatto opposto: la lotta contro gli apparati repressivi dello stato democratico in quanto strumento della borghesia. Insomma: se veramente vogliamo preservare la nostra capacità di batterci sul serio contro la globalizzazione capitalistica, non c’è altra strada se non quella di opporre forza contro forza, organizzazione contro organizzazione, di far valere contro la democrazia imperialista e i suoi apparati di potere -presidio del saccheggio sistematico mondiale compiuto da multinazionali e borse contro l’umanità lavoratrice e la natura- la forza organizzata degli sfruttati nella prospettiva del ribaltamento di questo sistema anti-sociale che da un pezzo ha fatto il suo tempo, per poter realizzare una comunità umana basata sulla cooperazione mondiale.