L’aggressione imperialista all’Islam: risposta ai nostri critici

Per certi Santommasi, citazioni non dal che fare


Noi affermiamo che, dagli anni settanta, la lotta antimperialista dei popoli e degli sfruttati del mondo islamico ha ripreso la sua marcia. Spesso dietro la bandiera dell’islamismo radicale. Ma non solo. È un fatto, non una fantasticheria. Lo dimostra (agli occhi di chi naturalmente vuol vedere!) anche solo un rapidissimo sguardo alla storia del mondo islamico degli ultimi vent’anni...


Per Wafa Idris

Ventotto anni. Infermiera palestinese. Militante di una cellula di al-Fatah. "Aveva tanta rabbia in corpo, racconta un’amica, per quello che accadeva alla sua gente, per i bambini feriti dall’esercito che aveva dovuto curare."

Non discutiamo adesso del programma e dei metodi politici sottesi all’episodio. Né ci interessa questionare sul se la morte di Idris sia stata causata da un incidente oppure a seguito di un’esplosione-kamikaze. Ci interessa sottolineare il fatto che ella stava comunque partecipando all’esecuzione di un’azione armata contro Israele. Che era passata dalle "retrovie" alla "prima linea".

Ciò esprime l’esigenza pressante della lotta del popolo palestinese di fare appello a tutte le sue forze, a non tenere nel congelatore la formidabile riserva rivoluzionaria rappresentata dalle masse femminili. Che giustamente, pur nel dolore per la fine di un’altra vita, guardano orgogliose a Idris.

Che si prenda atto di questa esigenza. Che ci si organizzi per essa. Che si faccia i conti con i programmi di quelle organizzazioni della resistenza che prevedono un ruolo subordinato della donna nella lotta contro lo stato sionista. La partecipazione delle masse femminili palestinesi a tutti i momenti della lotta di liberazione nazionale è una condizione essenziale per far avanzare questa battaglia e, insieme con essa, quella per la liberazione della donna (palestinese e non!). È solo attraverso questo protagonismo globale nella lotta contro l’oppressione dello stato sionista che potrà essere messa in crisi la divisione sociale dei ruoli che consegna la donna alla "casa". Null’altro potrà farlo.

Chissà se hanno salutato la volontà espressa nell’azione di Idris anche i tanti Sofri che qui in Occidente si sciaquano la bocca con la reclusione domestica della donna nel mondo islamico...

Nel febbraio 1979 un’insurrezione popolare abbatte la dittatura dello scià in Iran. Un terremoto per l’ordine imperialista nella regione. Lo aveva già annunciato nell’aprile 1978 anche la vittoriosa rivoluzione democratica nel confinante Afghanistan. In Iran, gli operai dei centri petroliferi e delle industrie metalmeccaniche catalizzano la rabbia della sterminata massa di lavoratori poveri e della popolazione curda compresa entro i confini iraniani. In alcune città sorgono assemblee sovietiche. Le organizzazioni islamiche dirigono il moto popolare, ma all’interno di esso agisce il giovane nucleo del Pc d’Iran. L’Occidente riesce a sventare il pericolo di una trascrescenza comunista del moto iraniano. Quest’ultimo si incanala nell’alveo del khomeinismo.

Nel 1986 la resistenza delle masse lavoratrici in Pakistan non può essere più tenuta sotto controllo dalla dittatura di Zia ul Haq. Grandi manifestazioni popolari riversano le loro speranze nel rientro di Benazir Bhutto. Il ritorno alla democrazia e la formazione del governo retto da quest’ultima inaugurano, però, un altro periodo di incubi per gli sfruttati e i semi-proletari del Pakistan.

Nel dicembre 1987 si accende la prima Intifada. Per la prima volta la popolazione di Gaza e della Cisgiordania insorge non più per una rivendicazione specifica ma per un obiettivo globale: farla finita con l’occupazione. Protagoniste della sollevazione le masse operaie e proletarizzate. Si costituisce una rete capillare di organizzazioni che operano come embrionali centri di "potere popolare". Il moto è ancora diretto dall’Olp, ma cresce il radicamento, soprattutto tra la massa degli shebab e tra la piccola borghesia impoverita, di alcune organizzazioni islamiche, tra cui la neo-nata Hamas. Esse raccolgono l’opposizione che comincia a manifestarsi alla politica conciliatrice dell’Olp nei confronti di Israele.

Nell’ottobre 1988 l’Algeria è scossa da una violenta sommossa popolare contro i provvedimenti di austerità imposti dal Fmi. La caduta del prezzo del petrolio non permette più di continuare a pagare il debito estero e a finanziare lo sviluppo (del sottosviluppo) avviato con la conquista dell’indipendenza. "È in questo clima di degrado, segnato da scioperi a ripetizione [si arriva al primo sciopero generale dell’industria dall’indipendenza n.], che la sera del 4 ottobre 1988 scoppiarono delle sommosse durante le quali i giovani poveri di Algeri se la presero con i simboli dello stato e dei servizi pubblici così come con le auto di lusso e con il centro commerciale Riadh al Fath, luogo deputato del consumo voluttuario e degli appuntamenti della gioventù del bel mondo" (Da G. Kepel, Jihad, ascesa e declino, Carocci, Roma, 2001). La rivolta tuttavia non riesce "a trasformarsi in un movimento politico strutturato. Lasciata a se stessa [dal proletariato industriale, n.], la gioventù urbana povera è stata incapace di far valere le proprie rivendicazioni. E dal momento che il vocabolario del socialismo era stata largamente screditato dall’uso che ne aveva fatto il potere, la sinistra algerina si rivelò inadatta a inquadrare e rilevare la rivolta." (ib.) Essa troverà un riferimento nelle moschee e in alcuni intellettuali islamisti e poi nel neonato Fronte di Salvezza Islamica.

Il 2 agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein spazza via la dinastia degli Al-Sabah dal Kuwait. La famiglia reale è accusata (a torto?) di favorire i tentativi dell’Occidente di stracciare i prezzi del greggio. "Milioni di musulmani, dal Marocco, alla Cina, si schierarono al fianco di Saddam Hussein e lo proclamarono eroe musulmano. In Marocco, Pakistan, Giordania, Indonesia vi furono manifestazioni imponenti di denuncia contro l’Occidente e contro Hassan, Hafiz al-Assad, Benazir Bhutto e Suharto, considerati lacchè dell’Occidente. (...) I gruppi fondamentalisti islamici provenienti dall’Egitto, dalla Siria, dalla Giordania, dal Pakistan, dalla Malaysia, dall’Afghanistan, dal Sudan e da altri paesi denunciarono il conflitto in atto come una guerra contro l’Islam e la sua civiltà. Nel Maghreb, l’esplosione del sostegno all’Iraq fu una delle più grandi sorprese del conflitto." (da S. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 1997). Senza contare l’effetto che il 2 agosto ha sulla prima Intifada e la drammatica insurrezione del marzo ’91 delle popolazioni curde dell’Iraq settentrionale dopo il "Massacro nel deserto"...

In Algeria lo scoppio della guerra del Golfo, nel gennaio 1991, dà ulteriore slancio al Fis, che convoca gigantesche manifestazioni di appoggio nei confronti di Baghdad. In vista delle elezioni legislative lo scontro sociale si acuisce. "È a questo punto che lo stato maggiore dell’esercito interviene direttamente per mettere fine alla situazione di ‘doppio potere’ che si è instaurata e che è sull’orlo di degenerare in insurrezione" (da Kepel). Il 3 giugno il regime proclama lo stato d’assedio. Benché incapace di reagire efficacemente, il Fis conquista la maggioranza alle elezioni presidenziali del dicembre 1991. Lo stato d’assedio gestito dal governo "civile" non basta più. I militari assumono il potere direttamente. "Il Fis viene sciolto, 40mila militanti sono internati nei campi del Sahara [se ne è accorto qualcuno tra i nostri amanti della democrazia?, n.], le moschee messe sotto sorveglianza" (ib.). Inizia la guerra civile: la feroce repressione statale, l’isolamento dai lavoratori organizzati nei sindacati ufficiali, l’impotenza dell’indirizzo politico islamista porteranno le masse giovanili diseredate raccolte nelle organizzazioni del Fis al disastro. L’ordine torna a regnare in Algeria. L’ordine sanguinario del capitale finanziario, che da Roma, Parigi e Washington ha dato il via libera ai carri armati.

Come era già accaduto sporadicamente dal 1991, nel marzo 1995 la cintura urbana a sud-ovest di Teheran è scossa da una rivolta contro il carovita. In luglio scoppiano ampi scioperi operai in varie città del paese. Ne è coinvolta anche la più grande fabbrica del Medioriente, la Benz Khavar, uno stabilimento di montaggio.

Intanto conosce un nuovo slancio la lotta del popolo curdo ingabbiato nello stato turco. Essa si intreccia con gli scioperi generali contro le "solite" politiche imposte dal Fmi: vi partecipano, insieme, lavoratori curdi e turchi. Nell’ottobre 1995 "il più ampio sciopero generale della recente storia turca" (Avvenimenti, 4 ottobre ’95) costringe alle dimissioni il governo Ciller. La mobilitazione della gioventù semi-proletaria urbana viene provvisoriamente attratta dal partito islamista del Refah, il quale dopo un fallimentare esperimento governativo, viene sciolto nel 1997.

Nell’estate 1997 l’Asia sud-orientale è messa a terra da una crisi finanziaria con la quale l’Occidente stringe ancor più fortemente il proprio cappio intorno alle masse lavoratrici dell’area. In Indonesia (il più popoloso paese islamico) si svolgono manifestazioni e rivolte contro la disoccupazione di massa, i tagli salariali e l’aumento dei prezzi di prima necessità.

Nel febbraio 1998 bin Laden e Ayman Zawahiri fondano il "Fronte islamico internazionale contro gli ebrei e i crociati". Esso raccoglie migliaia di militanti provenienti da diversi paesi islamici e da alcuni paesi occidentali. Non ha un radicamento di massa, come invece Hamas e altri raggruppamenti. È un nucleo di militanti, che cerca di far tesoro della parabola disastrosa dei gruppi armati algerini ed egiziani: non più confronto paese per paese con i regimi locali venduti all’Occidente, ma unione panislamica per colpire direttamente il pilastro su cui si reggono le corrotte classi dirigenti indigene: gli Usa.

Nel frattempo, malgrado l’embargo e i periodici bombardamenti, malgrado la cosa non faccia notizia (si sa, non sono morti bianchi e cristiani...), non accenna a piegarsi l’eroica resistenza del popolo iracheno... E si organizza e cresce la resistenza, anche armata, della popolazione libanese all’occupazione israeliana. La lotta viene diretta dalle organizzazioni radicali islamiche, tra cui gli Hezbollah. Nel corso delle iniziative, che si accompagnano a diversi scioperi generali contro le politiche d’austerità del governo, tornano ad avvicinarsi gli sfruttati libanesi con i palestinesi presenti sul "loro" territorio. Nel maggio del 2000 Israele è costretto a ritirarsi dal Libano del Sud. Dopo qualche mese si riaccende l’Intifada. Il fallimento della politica arafattiana non è il fallimento della lotta di resistenza del popolo palestinese. Che riprende. Più vigorosa, estesa e determinata di prima.

Una serie di scioperi e di manifestazioni contro la politica governativa percorre la Turchia nell’aprile 2001. Il 14 a Istanbul, mentre gli emissari del Fmi sono ricevuti dal governo, 40mila lavoratori gridano "Fmi uguale disoccupazione", "Fmi go home". Intanto, dal 20 ottobre 2000, va avanti nelle carceri lo sciopero della fame fino alla morte dei prigionieri politici (in massima parte militanti del Pkk) contro l’introduzione del sistema carcerario ad alta sicurezza e massimo isolamento (fortemente sponsorizzato dalla Ue).

Autunno 2001. Manifestazioni di gioia popolare in tutto il mondo islamico per il crollo delle Torri gemelle e di un’ala del Pentagono. Disapprovazione di massa dell’intervento occidentale in Afghanistan. L’incrudimento dell’aggressione dello stato sionista (abbiamo scritto dello stato sionista sionista e non degli ebrei, attenzione!!) contro l’Intifada non riesce a spegnere la fiamma della resistenza palestinese. Al contrario, la galvanizza, la estende in profondità, anche l’infermiera Wafa Idris prende parte agli attacchi militari entro i confini di Israele...

L’intervento occidentale in Afghanistan riesce a riportare la vittoria militare, ma l’abisso con i sentimenti della popolazione lavoratrice non fa che approfondirsi. Sintomatico quella che accade nel mondo della musica araba. In Egitto sta spopolando una canzone. Io odio Israele, e amo Amr Moussa ne è il titolo. La canta un ex-fabbro, Shaaban Abdel Rahim. "Eseguita sullo stile della musica popolare, questa canzone ha subito venduto milioni di dischi, malgrado Shaaban non l’abbia mai cantata dagli schermi della tv di stato. Il ritornello è fischiettato in tutti i paesi arabi. I ragazzi palestinesi lasciano i registratori accesi con questa canzone vicino ai posti di blocco, in modo che i soldati israeliani siano costretti ad ascoltarla" (dal manifesto del 5 febbraio 2002). Fino a quando il vulcano si limiterà a "brontolare" nelle canzoni o nei film dai vivaci sentimenti "antimperialisti" che riempiono le sale del Cairo?

E che dire, infine, delle lotte ingaggiate nel corso degli anni novanta dai lavoratori immigrati dal mondo islamico in Europa e in Nordamerica? La lotta dei proletari maghrebini di El Ejido, la "marcia su Roma" da tutta Europa dei lavoratori curdi in occasione dell’arrivo in Italia di Ocalan, le iniziative per il permesso di soggiorno degli immigrati in Italia e in Europa, la ripresa dell’iniziativa sociale e politica dei neri islamici degli Stati Uniti sono parte integrante della resistenza delle masse lavoratrici del mondo islamico contro gli effetti dello schiacciamento imperialista.