Turbo-massacro sul lavoro


Sono tanti e tali gli effetti devastanti per i lavoratori del turbo-capitalismo che perfino i documenti di fonte Onu (è quanto dire) non sempre riescono a ignorarli.

Di recente, ad esempio, Jukka Takala, uno dei massimi funzionari dell’Ilo (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro), si è lasciato andare alla seguente dichiarazione: "Per quello che riguarda la salute e la sicurezza nei posti di lavoro, siamo davanti a una catastrofe quotidiana che quasi mai guadagna le prime pagine dei giornali. Noi stiamo al punto che ogni anno muoiono a causa di incidenti sul lavoro o da ricollegarsi al lavoro circa due milioni di persone. Una ogni 15 secondi, più di 5.000 morti sul lavoro al giorno. Il numero degli incidenti è in crescita. Le nostre stime parlano di circa 250 milioni di incidenti l’anno, mentre le malattie da lavoro colpiscono 160 milioni di persone. E questo sono stime soltanto moderate, poiché sono basate su informazioni raccolte circa dieci anni fa. Nel frattempo, però, la popolazione lavoratrice è aumentata nel mondo. È cresciuta, anche, l’area del lavoro non tutelato all’interno dell’economia informale e sebbene non disponiamo di dati ufficiali, dal momento che questo settore dell’economia non è troppo visibile, sappiamo per certo che vi esiste una quantità di problemi. Problemi che non risultano nelle statistiche".

Agricoltura, miniere e costruzioni sono, tanto nei paesi occidentali che in quelli dominati dall’Occidente, i settori produttivi più pericolosi. Circa la metà dei 350mila caduti annuali sul lavoro sono lavoratori agricoli, contadini o braccianti, che muoiono schiacciati dalle macchine o uccisi dai pesticidi o da altri prodotti chimici. Ed è inutile specificare che il rischio di morte o incidente sul lavoro è più alto, in proporzione, nel "Sud" del mondo, dove il "Nord" sta esportando i "propri rischi". Questo carico differenziale di rischi, è sempre il funzionario dell’Ilo a parlare, porta con sé più spesso di quanto si possa credere il ricorso forzato al lavoro dei bambini.

"E il meccanismo è semplice da descrivere: se il capo-famiglia muore o diventa inabile al lavoro per un periodo anche breve o più lungo, l’intera famiglia, una famiglia allargata, ne viene a soffrire. E poiché ogni anno ci sono circa 440 milioni di simili incidenti sul lavoro, ecco che più povero è un paese, più facile è, presso di esso, cadere in questa trappola." La trappola del ricorso sempre più esteso al lavoro, semi-schiavistico, dei bambini.

Già, un’altra delizia del capitalismo "post-industriale", che segna, sfigura e schiaccia 246 milioni di bambini nel mondo. Considerata la fascia di età 5-17 anni, siamo a uno su sei... È un altro rapporto dell’Ilo a ricordarlo, "osando" parlare di sfruttamento dei minori, termine accuratamente evitato, invece, per i due milioni di assassinati sul lavoro di età adulta ed i due miliardi e passa di operai salariati e contadini poveri, il cui sudore è la gallina dalle uova d’oro del capitalismo globalizzato.

È questo il sistema sociale che i Wojtyla, i Cofferati e gli Agnoletto vorrebbero umanizzare con qualche pilloletta di etica, di concertazione o di bilanci partecipati!