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Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

Romania: i mandanti del governo Boc sono a Roma, Berlino, Parigi...

 

Poco si è parlato della Romania, ma negli ultimi mesi sono successi fatti importanti.

Dal 1989 questo paese è stato un terreno di caccia per le imprese occidentali: manodopera a buon mercato da sfruttare a volontà e governi acquiescenti ai boss dell’euro (1). Il tutto mentre due milioni di proletari rumeni sono stati costretti a emigrare in Italia, Germania o altri paesi.

Solo verso la seconda metà del decennio appena trascorso i lavoratori della Romania hanno conosciuto un relativo (relativo!) miglioramento della situazione salariale e occupazionale. Da qualche anno, però, sono pesantemente sotto un nuovo attacco.

Si comincia nel 2009. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale impongono che, in cambio di un prestito internazionale, il governo di Bucarest operi pesanti tagli alle pensioni e agli stipendi dei lavoratori statali (oggi una pensione media in Romania è di 160 euro e uno stipendio di circa 360 euro). Sempre nello stesso anno vengono licenziati 12mila ferrovieri. Nel 2010, nonostante un riuscito sciopero generale (il primo dal 1989), il governo, spinto dalle istituzioni finanziarie europee e mondiali, minaccia misure ancora più drastiche. Le misure si concretizzano all’inizio del 2012, quando il presidente del consiglio, Emil Boc, avvia lo smantellamento del sistema sanitario nazionale. È la goccia che fa traboccare il vaso: un’intera popolazione si mobilita contro la decisione del governo.

Il governo taccia i manifestanti di essere dei criminali, degli “hooligans”, dei vandali e ordina pesanti cariche della gendarmeria. Nel corso delle mobilitazioni si contano oltre 50 feriti. Nonostante la repressione e la calunniosa propaganda, i manifestanti lottano per due settimane invadendo le piazze di molte città della Romania. Non si accontentano del reintegro del dirigente sanitario, il palestinese Read Arafat, che negli anni precedenti aveva curato la messa a punto del sistema di pronto soccorso pubblico e che si era dimesso di fronte alla decisione del governo di smantellarlo. Non basta nemmeno l’abrogazione del decreto sulle privatizzazioni, ritirato dopo qualche giorno per placare gli animi. Come non bastano le dimissioni del ministro degli affari esteri Teodor Baconschi, che aveva rilasciato dichiarazioni pesanti sui manifestanti.  I lavoratori e la gente comune della Romania rivendicano le dimissioni del capo del governo e del presidente Basescu. Alla fine deve lasciare la stanza dei bottoni l’intera compagine governativa.

L’affondo sulla sanità è stato, per il momento, parato. Ma non è terminato il fuoco di fila apertosi sui lavoratori della Romania. È, quindi, vitale che dalla lotta divampata nelle scorse settimane nasca una prospettiva politica, anche in una ristretta minoranza di lavoratori rumeni, in grado di organizzare uno scontro di classe che sarà tutt’altro che breve e leggero. Ciò è nell’interesse dei lavoratori rumeni ma anche di quelli degli altri paesi europei e del mondo intero. La disponibilità di forza lavoro ricattata in Romania, e nell’Europa dell’Est, non è un’arma nelle mani dei padroni dell’Europa occidentale con cui mettere alla strette, con la minaccia della delocalizzazione a due passi da casa, i lavoratori italiani, francesi, ecc.? Intervenire nello e sullo scontro di classe in Romania non è, dunque, divagare rispetto all’urgenza di contrastare la politica del governo Monti e della  Bce. Tanto più che a spingere avanti il governo Boc è stata proprio la cupola della finanza e delle istituzioni europee. Questo è un punto cruciale.

Qui in Italia, a Roma, alcuni gruppi di lavoratori immigrati rumeni si sono mobilitati in sostegno della lotta condotta contro il governo di Emil Boc, manifestando sotto l’ambasciata del proprio paese. Nei comizi e negli slogan è stata denunciata soprattutto la corruzione del governo e della burocrazia di Bucarest (ritenuta prima e unica responsabile di quanto sta accadendo) e si è chiesto l’intervento dell’Unione Europea e dei suoi principali governi a sostegno delle rivendicazioni politiche ed economiche della “gente” di Bucarest.

Noi siamo stati presenti a queste piccole iniziative, cercando di far emergere quanto sia illusoria e suicida l’aspettativa d’aiuto da parte dell’Unione Europea e di governi quali quello italiano, francese o tedesco. L’attacco del governo rumeno non nasce da una specificità rumena. Non nasce, come invece hanno dato ad intendere i mezzi di informazione ufficiale, dalla corruzione della “classe dirigente” rumena. Non che la democrazia all’occidentale instaurata dopo il “favoloso 1989” non abbia rivelato anche in Romania la catena di ruberie, inganni, ipocrisia con cui olia il suo funzionamento e, aggiungiamo noi, con cui lubrifica le rotelline dittatoriali dello sfruttamento capitalistico. Non esagera chi, tra i lavoratori rumeni, afferma che, in fondo, il “vecchio” Ceausescu era un dilettante. Accentrare l’attenzione su questo aspetto serve, però, a coprire i mandanti effettivi della cura da cavallo avviata dal governo rumeno. I veri mandanti non stanno in Romania, i dirigenti di Bucarest sono “solo” degli esecutori. I burattinai stanno a Francoforte, a Bruxelles, a Roma, nelle banche e nelle multinazionali dell’Europa occidentale. E sono coloro che stanno orchestrando l’attacco in corso cercando di innescare una disastrosa (per i lavoratori) spirale al ribasso tra i lavoratori dell’Europa occidentale e i lavoratori dell’Europa orientale.  

1) Si veda il supplemento al n. 68 del che fare consultabile anche sul sito  (torna al testo)

Scheda

 La Romania è il paese in cui si trova il maggior numero di controllate all’estero da parte di aziende italiane. Le 3282 affiliate italiane in Romania impiegano 116 mila addetti e realizzano un fatturato di 5,3 miliardi di euro. I dati sono forniti dall’Istat nel suo Rapporto su struttura, performance e nuovi investimenti delle multinazionali italiane, dicembre 2011. L’obiettivo delle direzioni aziendali, scrive l’Istat, è soprattutto quello di “risparmiare sul costo del lavoro”.

Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

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