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LA MARCIA MONDIALE DELLE DONNE 2000:
LE PROTAGONISTE


Indice

 

Pubblichiamo in queste pagine una parziale documentazione sulle manifestazioni di metà ottobre a Washington, a New York e a Bruxelles. Lo consideriamo innanzitutto un nostro elementare dovere di contro-informazione, visto che, in Italia almeno, queste manifestazioni sono "sfuggite" quasi del tutto sia alla stampa padronale, sia alla stampa di sinistra, tipo Liberazione o Manifesto. Ma al di là della contro-informazione, compito che anche in questo caso solo il che fare assolve, riteniamo sia utile per i nostri stessi compagni e lettori osservare un po’ più da vicino le forze e i reali contenuti presenti in queste manifestazioni, con le loro potenzialità e i loro limiti, sì che si eviti di rappresentarsele con voli di fantasia o come una mera ripetizione, quale invece non sono, delle manifestazioni degli anni ’60 e ‘70. È evidente che abbiamo fatto una selezione dei materiali a nostra disposizione, pubblicando solo quelli che ci sembrano più significativi e rappresentativi delle diverse "anime", istanze ed organizzazioni presenti nella mobilitazione. È altrettanto evidente, dal nostro commento ad essa con cui si apre questo inserto, che non ci identifichiamo con nessuna di queste prese di posizione in quanto tale, ma che in tutte, come anche in altre non pubblicate, rinveniamo elementi di denunzia e di lotta da valorizzare e da fare nostri entro un quadro teorico e di azione che lega organicamente la lotta per la liberazione della donna alla lotta del proletariato contro il capitalismo, per il comunismo.

 

Il mondo è da rifare, parola delle donne canadesi.

Il testo più importante tra quanti hanno preceduto e preparato a livello mondiale la marcia delle donne è senza dubbio quello delle agguerrite "femministe canadesi", Un mondo da rifare.

Esso contiene una forte denuncia delle "intollerabili diseguaglianze esistenti in un mondo sempre più ricco" e, insieme, della "tolleranza e della compiacenza che continuano ad esistere nei confronti di tutte le violenze fatte alle donne". E descrive così il retroterra immediato della Marcia e la sua genesi:

"Negli ultimi cinque anni la condizione delle donne si è aggravata. Esse costituiscono la maggioranza del miliardo e mezzo di esseri umani che vivono con 1 dollaro al giorno o anche meno. Prime vittime dei programmi di aggiustamento strutturale del FMI e della Banca mondiale, esse sono le prime a vivere nell’analfabetismo, a non avere accesso alle cure, alla salute, all’acqua, alla terra e all’alloggio… Sono esse, anche, le prime vittime delle guerre, delle violenze, degli stupri e del traffico sessuale.

"Di fronte a tutto ciò gruppi di donne, organizzazioni comunitarie e sindacati si levano contro questi abusi, denunciano i trattati di libero scambio, criticano le grandi istituzioni economiche ed esigono misure per combattere questi flagelli. È in questo senso che va la marcia mondiale delle donne 2000."

A questa azione collettiva internazionale "per cambiare il mondo", le donne del Québec chiamano "gli organismi femminili non governativi", i "comitati di donne all’interno dei gruppi misti" e gli "organismi misti all’interno dei quali le donne assumono la guida della partecipazione alla Marcia". [Con ciò esse hanno escluso, esplicitamente, da un lato le organizzazioni fiancheggiatrici dei governi occidentali, e dall’altro quelle adesioni individuali e individualistiche delle "personalità di rilievo" che sono la borghesissima norma delle iniziative maschili e femminili della sinistra europea; col loro riferimento ai gruppi e agli organismi "misti", per contro, esse hanno mirato a coinvolgere nella mobilitazione non solo le donne, ma insieme donne e uomini. Fatto molto positivo per lo sviluppo della lotta.]

Per loro la povertà non è un fenomeno naturale, genetico e ineluttabile, ma ha ben definite cause strutturali che, nell’attuale momento storico, vanno ricondotte "alle politiche del capitalismo neo-liberale intrecciate al patriarcato e alle sue diverse forme di discriminazione contro le donne". Il loro bersaglio fondamentale è proprio il "capitalismo neo-liberale", raffigurato come "il clone del vecchio capitalismo selvaggio riciclato per adeguarsi alla mondializzazione dei mercati", a cui corrisponde "la mondializzazione della povertà, dell’esclusione e delle diseguaglianze".

Per loro la violenza nei confronti delle donne "non è una fatalità più di quanto non lo sia la povertà". Essa, "che tocca tutte le donne e le ragazze, ma in modo particolare quelle che vivono in condizioni di assoluta precarietà o che sono discriminate in base alla razza, la lingua, l’etnìa, la cultura, l’età, le opinioni, la condizione sociale, la religione, l’orientamento sessuale, l’handicap" o alla condizione di donna "immigrata, rifugiata o che vive sotto occupazione straniera", ha origine "in quel sistema, il patriarcato, che da tempo immemorabile esercita un controllo sulla vita delle donne". Patriarcato che, nella loro visione, non è una sopravvivenza del passato pre-capitalistico, ma ha, al contrario, uno stretto rapporto con il capitalismo neo-liberale:

"Il neo-liberismo e il patriarcato si alimentano a vicenda e si danno forza reciproca nel mantenere la grande maggioranza delle donne in una condizione di inferiorità culturale, di svalorizzazione sociale, di marginalità economica, di ‘invisibilità’ della loro esistenza e del loro lavoro, di mercificazione dei loro corpi, tutte situazioni che rassomigliano ad un vero e proprio apartheid".

Di qui l’appello a "rompere definitivamente con il capitalismo neo-liberista" e nello stesso tempo a "rompere definitivamente con il patriarcato", e a marciare perché "la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, economica, sociale e culturale sia il punto di partenza di una liberazione loro e dei popoli che troppo spesso sono esclusi dalle decisioni che li riguardano".

Gli obiettivi specifici che le donne canadesi del Québec mettono in primo piano sono la fine dei programmi di aggiustamento strutturale, la fine dei tagli alle spese sociali, l’annullamento del debito di tutti i paesi del Terzo Mondo, la Tobin tax, etc., tutti obiettivi assunti nella prospettiva -per noi totalmente illusoria- di una riforma degli irriformabili ordinamenti ed istituzioni del capitalismo mondiale. Ad esempio: l’Onu "una speranza da coltivare"? No, non diremmo proprio.

Il Now statunitense per una piena eguaglianza

Con illusioni elettoralistiche assai più accentuate (era schierata pro-Gore), e tuttavia capace di cogliere e denunciare il nesso tra l’oppressione della donna e l’acutezza dei contrasti di classe anche negli Stati Uniti, la posizione del Now (National Organization of Women), la principale organizzazione femminista statunitense, promotrice della marcia di Washington. Ecco un passaggio dell’intervento della sua presidente al comizio conclusivo davanti alla Casa Bianca:

"La violenza sulle donne, come pure le guerre sono una epidemia globale che uccide, tortura, mutila le donne dal punto di vista fisico, psicologico, sessuale ed economico. Sappiamo che nel mondo ogni anno 40 milioni di persone muoiono per fame e un miliardo e 300 milioni sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, mentre il 20% più ricco del mondo guadagna 74 volte di più del 20% più povero della popolazione del mondo. E questo divario è in aumento, dato che nel 1960 era solo 30 volte di più. Negli Usa le paghe degli alti dirigenti sono aumentate del 500% negli ultimi 15 anni, mentre le paghe dei lavoratori delle fabbriche sono aumentate solo del 7%. E in questo paese l’1% della popolazione possiede più ricchezze del restante 99%. La violenza economica è altrettanto mortale della violenza fisica. E noi sappiamo che negli Stati Uniti se le donne fossero pagate come gli uomini, molte delle famiglie della classe lavoratrice si collocherebbero al di sopra della soglia di povertà; perciò rivendichiamo eguaglianza nel salario. Ma dobbiamo chiedere una piena uguaglianza, poiché un’uguaglianza che non comprenda il pieno diritto alla procreazione libera per tutte le donne, non è vera uguaglianza. Un diritto che escluda i diritti delle lesbiche, dei gay, o di ogni altra persona non è vera uguaglianza. Le donne debbono lottare contro ogni discriminazione basata sulla razza, religione, colore, etnia, handicap, età: lotterete contro tutto ciò?".

Dal Giappone un appello per lavorare di meno

Una denuncia dello sfruttamento differenziale sperimentato quotidianamente dalle donne salariate è arrivato nelle manifestazioni di Washington e New York dall’estremo Oriente, attraverso la sezione femminile del sindacato dei pubblici dipendenti delle prefetture e dei municipi, organizzazione che raccoglie più di un milione di lavoratori, nel cui volantino si legge:

"I lavoratori giapponesi sono famosi per lavorare tanto. Dopo che il governo ha eliminato le restrizioni sul lavoro delle donne nell’aprile 1999, molte donne, incluse le dipendenti pubbliche, sono state costrette a lavorare di più (ci sono donne che fanno più di 300 ore di straordinario in un anno). E le donne che lavorano di notte stanno aumentando rapidamente.

"Noi facciamo un sacco di lavoro non pagato, ed è difficile per alcune di noi avere giorni di ferie in un intero anno, poiché abbiamo molti compiti da assolvere, e non c’è il personale necessario. Le donne lavoratrici sono molto stanche a causa del loro lavoro quotidiano lungo e pesante che rovina la loro salute e rende loro difficile far fronte alle responsabilità familiari. Noi intendiamo svolgere un lavoro ben fatto nell’interesse dei cittadini, per cui domandiamo una riduzione delle ore di lavoro ed in modo particolare una limitazione dello straordinario, del lavoro notturno e del lavoro festivo".

Il grido di battaglia anti-imperialista delle Mujeres revolucionarias de México

Folte e combattive, soprattutto a New York, le delegazioni di donne del Terzo Mondo. Tra loro si è fatta sentire particolarmente la presenza delle mujeres revolucionarias messicane, nel cui volantino si legge:

"Popoli del mondo unitevi!

I popoli dei nostri paesi non si lasciano ingannare. Ha cambiato il suo nome mille volte, ma la gente lo riconosce per quello che è, e oggi noi comprendiamo bene che cos’è il mostro chiamato globalizzazione neoliberista. Non importa come lo chiamano: noi sappiamo bene che si tratta del capitalismo, dell’imperialismo.

"Come lo si può ignorare dopo che è stato responsabile dell’assassinio dei nostri fratelli vietnamiti? Non è forse lo stesso che ha aggredito i popoli del Guatemala, di San Domingo e di Panama? […] Possiamo ancora udire le grida dei torturati nel paese di Neruda; sì, l’imperialismo è lo stesso potere che ha imposto il sottosviluppo economico alla Cuba di Martì e di Fidel; le distanze non contano per esso, è lo stesso che ha bombardato Baghdad e l’eroica Jugoslavia! Ci sono sempre delle giustificazione per quello che fa: ieri era il comunismo, oggi assassina in nome della libertà, della democrazia e perfino dell’imposizione della pace. […]

"La cosa più importante che noi dobbiamo comprendere è che il solo modo per sconfiggere il mostro imperialista è quello di unirci, tutti i popoli dei differenti paesi."

Una vibrante denuncia che si accompagna, però, alle aspettative il più infondate possibile sul ruolo delle Nazioni Unite, che a loro parere "non possono continuare a essere uno strumento dell’imperialismo, ma devono trasformarsi in un organismo efficiente, capace di intrecciare rapporti fra i veri paesi, devono cooperare alla creazione di un ordine economico internazionale e dare garanzie sui diritti internazionali per sostenere la pace."

Bisogna tener conto della donna africana!

Nel corso delle manifestazioni il nostro intervento si è attuato anche attraverso interviste volte a cogliere e a raccogliere dalla viva voce delle manifestanti le ragioni della loro partecipazione alla lotta e a sottolineare per l’appunto la funzione oppressiva e di rapina svolta dall’Occidente imperialista nei confronti dei popoli del Sud del mondo. Tra le altre, un gruppo di donne congolesi ha colto al volo l’occasione di un’intervista con noi per esprimere con veemenza tutto il proprio spirito di ribellione:

"Siamo una delegazione di donne congolesi del Congo Brazzaville, siamo venute per partecipare alla marcia mondiale, siamo venute per la pace, contro la povertà. Oggi si parla del commercio mondiale, del commercio virtuale: sapete, nel nostro paese ci sono ancora delle popolazioni che non hanno nemmeno accesso all’acqua potabile! Vedete? Si parla di mondializzazione, e si ha l’impressione che l’Africa non sia neanche stata presa in considerazione in questa mondializzazione. Siamo venute per far sentire, come donne, il nostro grido di disperazione: bisogna tenere conto della donna africana, e soprattutto della donna congolese. Che si annulli il debito che pesa su di noi, che si ponga fine alla povertà, perché nel momento in cui gli stati parlano della mondializzazione e in Africa ci sono persone che restano anche due o tre giorni senza mangiare, non c’è elettricità, non c’è acqua; non si mangia; e poi le guerre: bisogna che ci si aiuti a sradicare le guerre, perché si possa vivere in pace. Ecco perché siamo venute."

OCI - I primi responsabili delle condizioni delle donne africane sono i paesi occidentali…

R. Assolutamente si, è quello che crediamo anche noi, poiché ci sono dei conflitti che nascono nei nostri paesi, soprattutto nei paesi produttori di petrolio, che sono provocati unicamente dai paesi occidentali, dunque tutto ciò deve finire perché noi possiamo vivere in pace. Dal nord al sud, dall’est e dall’ovest è molto importante che le donne del mondo si uniscano per gridare il loro grido di disperazione e che tutto ciò finisca per sempre."

Non dimenticare la questione di classe

La forte voce delle donne africane si è fatta sentire anche dal palco nel discorso tenuto da una giovanissima sud-africana:

"Una canzone sudafricana che molte donne cantavano in zulu, durante la lotta contro l’apartheid, diceva: quando tocchi una donna, tocchi una roccia. Questo significa che le donne che lottavano contro l’apartheid erano veramente forti, i loro figli venivano mandati in esilio ed esse combattevano, esse combattevano contro il regime politico, ed è questo che le donne dovrebbero continuare a fare anche ora, poiché questo regime politico non è a favore delle donne, non è a favore dei poveri, e si dà il caso che i poveri siano donne, le donne sono le più colpite dalla povertà, le donne sono coloro che occupano il livello più basso del mercato del lavoro, le donne sono quelle che più subiscono gli effetti delle privatizzazioni, le donne sono quelle che subiscono gli shock in famiglia.

"Ci sono nel mondo donne diventate importanti, ma questo non è stato un progresso. Margaret Thatcher, ad esempio, ha spinto per il neoliberalismo, ha spinto per il programma di privatizzazioni, per il taglio della spesa sociale, ma questo è proprio ciò che le donne dovrebbero combattere, perché il taglio delle spese sociali colpisce soprattutto le donne, sono loro che devono farsi carico della cura degli anziani, dei bambini, e questo è un problema!

"Se le donne stanno zitte, nessun altro parlerà per loro, e questa è la ragione per cui la marcia 2000 in Sudafrica sta lottando per la cancellazione del debito, perché se il debito sarà cancellato sarà più facile trattare i problemi della gente e delle donne in particolare. Sappiamo che le politiche della Banca Mondiale e del FMI non sono a favore delle donne, ma vi voglio ricordare ancora una cosa: le donne sono diverse fra loro, appartengono a diverse classi, appartengono alla classe media, alla classe dirigente e alla classe povera; quando trattiamo questi problemi non dobbiamo dimenticare il problema di classe, e i problemi delle donne devono essere integrati con il problema delle classi, non dobbiamo perdere di vista il fatto che ci sono donne povere e di colore, e che le donne sudafricane sono colpite da una triplice oppressione. C’è un’oppressione perché sei nera, un’oppressione di genere e una di classe, e questo è un problema, non dovremmo mai dimenticare la questione di classe! Avanti verso l’emancipazione delle donne!"

Dalle Filippine: contro le cause della povertà e della violenza

L’organizzazione MAKIBAKA, che fa parte del Fronte Nazionale Democratico delle Filippine, afferma:

"Noi crediamo che la povertà sia una violenza istituzionalizzata contro le donne. Che per combattere la povertà, dobbiamo lottare contro le sue cause di fondo: la globalizzazione capitalistica è oggi la causa di fondo della povertà nel mondo. Gli imperialisti mentono quando parlano di globalizzazione in favore delle necessità della gente. La globalizzazione serve agli interessi degli imperialisti e dei grandi affaristi ed è contro gli interessi del popolo.

"La marcia delle donne 2000 è il grido delle donne di tutto il mondo contro la povertà e la violenza contro le donne. Solo conoscendo le cause di fondo di questa povertà e violenza, possiamo sapere come lottare contro di esse. Nel caso delle Filippine, le donne filippine, lottando contro la globalizzazione imperialistica, lottano anche contro i valori e le istituzioni feudali che dominano a tutt’oggi la nostra società.

"È tempo che tutte le donne anti-imperialiste del mondo stringano le fila, chiamino alla lotta altre donne e uomini progressisti, espandano la loro rete internazionale e lavorino insieme per lo sradicamento della povertà e della violenza contro le donne lottando le sue cause di fondo e lavorando per una società che sia libera dallo sfruttamento e dall’oppressione."

Le immigrate sans papiers: contro ogni discriminazione e oppressione

A Bruxelles è stata largamente maggioritaria la presenza di donne lavoratrici a salario, tante -davvero- organizzate nelle file della CGT e delle Comisiones Obreras. Non meno rilevante la presenza di immigrate. Un gruppo di loro, provenienti dalla Francia, si esprimeva insieme contro le discriminazioni patìte in Occidente e contro quelle patìte nei paesi di provenienza:

"Siamo donne sans papiers. Viviamo in Francia. Vogliamo i nostri diritti.

Vogliamo scegliere il nostro modo di vivere e avere gli stessi diritti qualunque sia la nostra situazione coniugale o familiare. I diritti devono essere legati alla persona, e non alla sua posizione nella famiglia […] Non ne possiamo più di aver paura e di questa precarietà.

Basta con questa lotteria e questo arbitrio. Vogliamo i documenti per tutti e tutte senza discriminazioni. […]

Vogliamo il diritto di circolare liberamente, di vivere qui, e il diritto d’asilo per le donne perseguitate. Vogliamo i documenti e tutti i nostri diritti, vogliamo l’eguaglianza, la libertà, una piena e completa cittadinanza senza discriminazioni, sia che queste discriminazioni vengano dalle leggi francesi che dalle leggi e tradizioni dei nostri paesi d’origine, dal razzismo e dai comportamenti oppressivi. Ci battiamo per questo e ci batteremo fino alla fine."

"L’escissione, l’uso del velo, la poligamia o il matrimonio forzato sono forme di asservimento delle donne. Noi lo diciamo alto e forte! Ma troppo spesso le istituzioni, i media [occidentali] considerano solo gli aspetti ‘culturali’. E in effetti è più facile far vedere delle pratiche negative, dandone la responsabilità all’insieme degli immigrati, che riconoscere le condizioni in cui vivono le donne immigrate in Francia, cioè il loro stato giuridico e la loro condizione socio-economica. Questa presa di distanze non fa che colpevolizzare le donne e incita alla divisione tra donne.

Le donne immigrate subiscono delle palesi ingiustizie e vedono negati i loro diritti a causa della politica francese di controllo dell’immigrazione e di chiusura delle frontiere che impedisce l’ottenimento del diritto di soggiorno", ed è proprio questa realtà di negazione dei diritti e di sfruttamento che si cerca di occultare con l’ipocrita "denuncia" istituzionale e massmediatica dell’asservimento delle donne di colore nei loro paesi di origine.


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