Sì, ancora socialismo!


Il movimento da Seattle a Genova ha fatto emergere che una molteplicità di soggetti oppressi e sfruttati, per le più "diverse" (in realtà convergenti) e tutte ottime ragioni, non possono, e cominciano a non volere, più convivere con il capitalismo globale, e hanno già avuto un loro primo incontro di fatto su un terreno comune di lotta. Abbiamo già visto perché essi siano chiamati a darsi un unico indirizzo e un’unica organizzazione di lotta, mondialmente centralizzati. Abbiamo altresì accennato al fatto che l’una e l’altra esigenza possono realizzarsi se le molteplici lotte "anti-globalizzazione" trovano un comune orizzonte di liberazione, e che questo, per noi, non può che essere il socialismo.

Che cos’è, allora, il socialismo? È la integrale restituzione all’umanità lavoratrice, che ne è stata finora espropriata, dell’intero frutto dell’attività produttiva, in senso lato, umana affinché esso possa andare ad "arricchimento", a liberazione di tutti e di ciascuno dai vincoli della "necessità" (Marx parla di liberazione del singolo in quanto individuo umano della collettività umana).

Il magnifico mondo del G-8

La polarizzazione della ricchezza 
tra Nord e Sud del mondo

 "Nel solo quinquennio che va dal 1994 al 1998, "il valore netto del patrimonio dei 200 individui più ricchi del pianeta è passato da 440 a 1.000 miliardi di dollari, ciò che equivale al reddito del 41% della popolazione mondiale, cioè a dire 2,6 miliardi di esseri umani. Ciascuno di costoro detiene l’equivalente degli averi di 12 milioni di loro. Quanto ai tre individui più ricchi della terra, il loro patrimonio è superiore al prodotto lordo dei 48 paesi più poveri del mondo presi assieme…"

Fonte: United Nations Development Programme, Human Development Report, 1992.

Il crimine, prima industria del capitale globale 
e ultima frontiera del profitto

Qual è la prima branca, per fatturato, del turbo-capitalismo mondializzato? L’industria petrolifera? quella dell’auto? l’elettronica? le bio-tecnologie? Errore. È l’industria del crimine organizzato, ultimissimo grido dell’accumulazione di capitale perché fonte di profitti strepitosi.

Essa (i dati sono forniti dal Consiglio d’Europa e dal Fmi) fattura qualcosa come 1.000 miliardi di dollari l’anno, il Pil dell’Italia, cinque volte il Pil di tutta l’Africa, in virtù di una serie di attività altamente benefiche per l’intera umanità. Produzione e smercio di droga (nel mondo ci sono attualmente 180 milioni di tossicodipendenti, vi sono città, come Baltimora, nelle quali il 10% della popolazione è tossicodipendente), contrabbando di armi e di scorie nucleari e tossiche, mercato della prostituzione e della pornografia, racket varii (tra cui il furto di bambini per l’espianto di organi)…

Questa riappropriazione collettiva, quindi internazionale, della "ricchezza" sociale sarà, finalmente, corrispondente al carattere sociale e universale del lavoro che l’ha prodotta. Essa, si capisce, non potrà prescindere dalle differenze (create dal capitalismo), né prevaricare sui "caratteri propri" di ogni e qualsiasi "comunità", in quanto comunità che si ribella partendo da sé al dominio del capitalismo globalizzato, ma si darà a partire proprio dalla valorizzazione e liberazione delle singole realtà storico-culturali. Per un’autentica socializzazione umana dovrà, comunque, puntare a inventariare, controllare e dirigere le forze complessive del lavoro socializzato (dallo stesso capitalismo), e ciò sarà realizzabile solo sulla base della distruzione dell’attuale divisione sociale e internazionale del lavoro, e non attraverso un’impossibile trasformazione che la renda più "equa". È unicamente con questi presupposti che si può realizzare il vero rispetto di tutte le realtà storico-culturali, un rispetto, cioè, che non sia slegato dal loro sviluppo nel senso di una piena partecipazione alla socializzazione di tutta la "ricchezza" sociale. Quello che oggi si contrabbanda come "rispetto" delle "culture altre", punta, invece, a mantenerle distinte per sempre in questa loro "alterità". In questo modo non fa altro che cristallizzare la situazione attuale di appropriazione privata, non collettiva, e differenziata, del prodotto del lavoro umano, in un mondo che non è affatto "plurale" bensì soltanto capitalisticamente combinato e diseguale.

Non si tratta né di un sogno, né di una novità. L’antagonismo di classe del proletariato internazionale ha già dietro di sé una storia di passi compiuti in questa direzione. Nel corso di questa storia esso ha registrato a tempo e in modo scientifico il proprio avversario, il capitalismo, e ha prodotto anche organizzazione (coerente a tale scienza) e liberazione effettiva. Oggi la speculazione sul tracollo del "socialismo reale" trionfa e vuole seppellire assieme a questo lo stesso socialismo, vuole, cioè, cancellare la realtà che il socialismo, a partire dal socialismo utopistico, immaturo, di Babeuf, è stata la forza che si è opposta concretamente al capitalismo producendo forze reali per l’emancipazione delle masse.

Un primo esempio di ciò è stata la Comune, sebbene mancassero allora i presupposti materiali di un reale passaggio al socialismo. L’internazionalismo della 2ª Internazionale non ancora degenerata anticipò i temi attuali: globalizzazione della lotta del proletariato contro una globalizzazione capitalistica (la fase imperialista del capitalismo) che conduceva il mondo al disastro (il "socialismo o barbarie" di Rosa Luxemburg). Questo sforzo fu vanificato dalla degenerazione con cui l’Internazionale si trasformò in una vera e propria prima forma di "socialismo reale" che la portò inevitabilmente a sottomettersi al capitalismo reale, decretando la dissoluzione del suo internazionalismo dinanzi alla chiamata alle armi dei "propri" stati nella prima guerra mondiale.

La rivoluzione russa ha segnato un momento di reazione a tutto ciò per ridare al movimento proletario la sua anima comunista. Se l’incendio non si è propagato oltre la Russia e lo stesso tentativo di Lenin è andato perso, non è stato per chissà quale tara del socialismo, ma per l’insufficienza delle forze che riuscì a raccogliere e dirigere soprattutto nei paesi imperialisticamente dominanti.

Con la cosiddetta "costruzione del socialismo in Russia", in un paese solo, si è andati, come noi comunisti avevamo anticipato, alla ri-sottomissione al capitalismo della stessa Russia non più rivoluzionaria. Ma con l’attuale tracollo del "socialismo reale" non è caduta la prospettiva del socialismo, bensì soltanto le menzogne su di essa che sono servite a coprirne il rovesciamento. Il movimento "anti-globalizzazione" ha certo il diritto di prendere le distanze dal "socialismo reale", ma nel modo corretto, quello per cui i comunisti autentici hanno sempre combattuto. Nel farlo, per essere coerente con sé stesso, deve riconoscere che il problema attuale è quello di una lotta veramente internazionale e internazionalista, veramente anti-capitalista, come diceva Lenin e come diciamo noi, e che questa prospettiva è un riscatto del programma autentico del socialismo, non la sua smentita. Si ha diritto di essere contro il "socialismo reale" solo nella misura in cui si sa vedere in esso il trionfo del capitalismo reale.

Internazionalismo, anti-mercantilismo, protagonismo e auto-organizzazione delle masse, è questo il programma che è andato perduto a causa delle nostre debolezze e della forza del capitalismo. È questo il programma che va pienamente restaurato.