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CONTRO IL LIBERISMO, LE COMPATIBILITA' E IL FEDERALISMO.
PER L'UNITA' E L'AUTONOMIA DI CLASSE.

Proposte di emendamenti al documento congressuale "Alternativa Sindacale", presentate dai nostri compagni.


1° ATTACCO DI CLASSE. Aggiungere a pag. 10/B dopo il rigo 5:

"Il capitalismo cerca di scaricare la sua crisi sui lavoratori e conduce, in tutto il mondo, un attacco sempre più pesante e articolato su tutto lo spettro della vita sociale, politica ed economica. Non sono singoli governi o singoli padroni o le loro espressioni più "destre" e retrive a condurre sporadici assalti, ma si tratta di una vera e propria lotta dell’intera classe borghese contro l’insieme della classe operaia e dei lavoratori.

L’attacco è alle condizioni di lavoro e di vita di lavoratori, disoccupati, diseredati, immigrati, ecc., ma anche, e soprattutto, alle loro organizzazioni, compreso il sindacato, allo scopo di sfaldarle, o di indebolirle fortemente, o di sottometterle completamente alle "leggi di mercato".

Le stesse riforme costituzionali, in Italia, non sono un semplice aggiornamento della Costituzione, ma mascherano una crescente blindatura dell’apparato dello Stato contro i lavoratori e le loro organizzazioni. Lo dice fuori dai denti Berlusconi (l’Unità del 2.2.96): "Le riforme istituzionali servono per far cessare le alleanze piazza-sindacati-opposizioni parlamentari che impongono ai governi deboli di stracciare le grandi riforme, come è successo per le pensioni".


2° COMPATIBILITA’. Aggiungere a pag. 11/A dopo il rigo 6:

"Agli attacchi della borghesia i sindacati e la sinistra rispondono con una linea che accetta le "compatibilità" e le esigenze del capitalismo nostrano, le presentano come se fossero "interessi del paese" e, quindi, vi sottomettono gli interessi dei lavoratori, finendo con l’accettare cedimenti continui.

Questa linea ha portato alla fine della scala mobile, alla riforma delle pensioni, alla deregolamentazione del mercato del lavoro e a continui, pesanti, tagli allo stato sociale. Anche quando i sindacati hanno promosso delle lotte non è stato mai per bloccare in modo deciso gli assalti del governo di turno e del padronato, ma, tuttalpiù, per contenerne gli effetti. Ciò per andare incontro all’interesse delle imprese, nell’illusione che di un rilancio loro e dell’economia nazionale potessero, prima o poi, beneficiare anche i lavoratori.

Ormai persino i ciechi vedono che dal famoso "rilancio" i padroni hanno tratto solo nuovo alimento per tornare alla carica, rifiutando il recupero salariale dell’inflazione reale, imponendo nuove ristrutturazioni, turni, lavoro di sabato e domenica, straordinari, incremento dei ritmi, e ricorrendo a massicci licenziamenti anche in aziende di settori ritenuti da loro i più moderni e avanzati (Olivetti, Italtel, Alenia)."


3° FEDERALISMO. Sostituire righi da 45 a 51 di pag. 11/A con:

"La CGIL deve rifiutare del tutto il federalismo, anche quello addolcito dall’aggettivo "solidale".

Il federalismo, anche sotto forma di "regionalismo", è ormai una bandiera di tutte le forze politiche. Da chi vuole separare il Nord dal Sud "assistito" nella speranza di aggregarsi al "carro" tedesco, a chi lo vede solo come mezzo per garantire un controllo più diretto dei "cittadini" sulla gestione delle risorse pubbliche.

I sostenitori più accaniti sono gli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i professionisti del Nord. Ma comincia a farsi strada anche tra i lavoratori. I primi vi hanno tutto da guadagnare, i secondi tutto da perdere. Il federalismo ha, infatti, un netto segno di classe, esso serve a distruggere l’unità di lotta e d'organizzazione della classe operaia, cioè l’unica risorsa che ha consentito ai lavoratori nei decenni trascorsi di difendere e, qualche volta, migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro.

I sindacati credono che col federalismo possono garantire meglio i lavoratori delle realtà più "forti" e giurano di non voler abbandonare la "solidarietà" con quelli delle zone più svantaggiate.

In realtà col federalismo accadrebbero due cose:

a. I lavoratori perderebbero l’unità di organizzazione e di lotta, si ritroverebbero da soli contro le imprese e sarebbero costretti a fare ulteriori cedimenti in cambio di miseri incrementi salariali o della semplice conservazione del posto di lavoro.

b. lo smantellamento dello stato sociale avrebbe un impulso inaudito. Per i mini-stati o le regioni sarebbe molto più facile falcidiare la spesa sociale di quanto lo sia per lo "stato centralizzato". Dinanzi a loro, infatti, ci sarebbe un movimento dei lavoratori molto più debole, proprio in quanto più diviso. Lo stesso documento congressuale della CGIL sostiene (punto 2.6, lettera b) "è a livello delle autonomie locali che è possibile ridefinire una coerenza fra risorse e bisogni riguardo alla riforma dello stato sociale". Per quanta solidarietà si voglia aggiungere, il senso è: le regioni che hanno risorse "disponibili" potranno conservare qualche barlume di "stato sociale", per le altre... un po’ di carità. E’ lo stesso discorso di Bossi agli operai del nord: riprendiamoci le risorse assorbite dall’assistenzialismo del Sud e potremo, al Nord, conservare uno stato sociale solido. Quel che Bossi "dimentica" di aggiungere è che una volta smantellato completamente lo stato sociale al Sud sarà terribilmente più facile smantellarlo anche al Nord.

Il vero obiettivo del federalismo è fare come in Jugoslavia, dove lo smembramento in tanti piccoli stati ha consegnato la classe operaia al "libero" e selvaggio sfruttamento dei piccoli capitali locali e dei grandi capitali imperialisti. I federalisti nostrani aspirano a quel risultato senza ricorso alla guerra, ma una precipitazione dello scontro ve li costringerebbe senz’altro (anche in Jugoslavia si cominciò senza pensare alle armi...)."


4° UNITA’ E AUTONOMIA. Sostituire righi da 66 a 70 di pag. 11/A con:

"Una reale difesa delle condizioni di vita e lavoro di tutti i lavoratori deve fondarsi sull’unità e sull’autonomia:

- UNITA’ vuol dire respingere programmaticamente ogni federalismo, esplicito o camuffato, completo o a pillole (gabbie salariali, salari d’ingresso, ecc.), ricercare l’unità tra occupati e disoccupati, ma anche con i lavoratori immigrati, con i lavoratori della ex-Jugoslavia e con i lavoratori europei che subiscono attacchi in tutto identici a quelli subiti dai lavoratori italiani, come è successo recentemente in Francia e Belgio, e come sta iniziando ad accadere anche in Germania.

- AUTONOMIA vuol dire rifiutare di sottomettere le esigenze dei lavoratori alle necessità padronali, aziendali, e dell’economia nazionale. Rifiutare di considerare il deficit pubblico come una "compatibilità" che riguarda i lavoratori. Non sono stati loro a crearlo, e, al contrario dei possessori di capitali, non ne beneficiano affatto. Rifiutare di considerare la crisi del capitalismo come una cosa di cui la classe operaia e i lavoratori debbano farsi carico. Per quanti sacrifici i lavoratori facciano, e ne hanno già fatti a iosa, la crisi del capitalismo non si risolve. Né essi hanno alcunchè da guadagnare dal rilancio dell’economia nazionale. Questo rilancio avviene, quando avviene, a discapito di altre economie nazionali, in una spirale di lanci e rilanci la cui conseguenza è l’approfondirsi della concorrenza tra "economie nazionali" e, quindi, tra stati o gruppi di stati, con l’inevitabile prospettiva di nuovi conflitti anche militari.

La difesa del "proprio" capitalismo porta come risultato ultimo di dover difendere la "patria" in quei conflitti, il cui scopo è la supremazia economica, finanziaria e politica, anche se è presentato sotto più "nobili" cause (difesa della democrazia, della "libertà" contro le dittature, ecc.). La classe operaia e i lavoratori non hanno altre "economie nazionali" da combattere, ma in ogni altra nazione una classe di loro simili cui allearsi."


5° EX-JUGOSLAVIA. Aggiungere a pag. 16/B dopo il rigo 5:

" Le armate occidentali non vanno a portare la pace, ma per garantire che la Jugoslavia rimanga divisa per sempre nei confini artificiali imposti da una guerra fatta "per procura" delle potenze mondiali. In tal modo essa è per i vampireschi capitali occidentali un "libero" terreno di caccia, con una manodopera a basso costo, che i padroni usano anche contro i lavoratori occidentali con la minaccia di trasferire lì le aziende o di assumere con sotto-salari i lavoratori jugoslavi costretti a emigrare.

Ecco perchè è anche nell’interesse dei lavoratori italiani ed europei lottare contro ogni ingerenza -finanziaria, politica e militare- dell’Occidente sulla ex-Jugoslavia, lottare perchè essa ritrovi la sua unità, iniziando ad aiutare i lavoratori ex-jugoslavi a ritrovare la loro unità di organizzazione e di lotta."


6° IMMIGRATI. Aggiungere a pag. 16/B dopo il rigo 23:

"L’obiettivo della destra -recepito dal decreto Dini- non è di espellere in massa i lavoratori immigrati, ma di tenerli sotto ricatto costante di espulsione, per costringerli alle più inumane condizioni di lavoro senza poter elevare la benché minima protesta organizzata, al fine di scatenare tra loro e i lavoratori italiani una guerra a chi accetta le condizioni peggiori. Quindi, è anche interesse dei lavoratori italiani eliminare la precarietà degli immigrati, battersi contro la chiusura delle frontiere, rivendicare per loro tutti i diritti, sindacali, politici, di cittadinanza, nessuno escluso.

Dinanzi al duro attacco del governo Dini, gli immigrati hanno dato vita a un serio movimento di lotta, cui è mancato, finora, proprio l’apporto di mobilitazione dei lavoratori italiani. Il ritardo va urgentemente colmato e le organizzazioni degli immigrati vanno difese e sostenute senza porgli alcuna condizione politica, culturale, religiosa, ecc."

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