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Donna

Albania: lo sciopero delle operaie dell'Abaco Shoes

Abbiamo appreso da un’inchiesta pubblicata in ottobre dal quotidiano La Stampa, alcune notizie sulla crescente conquista del "made in Italy" di spazi di produzione nei paesi dell’est e sulle prime salutari resistenze che la manodopera di quei paesi oppone allo sfruttamento dispensato dai nostrani conquistatori.

A trasferire la produzione nei paesi dell’est non è solo l’imprenditore fallito che cerca fortuna oltreconfine, ma anche aziende come la Marzotto, la Stefanel, la Benetton, la Max Mara, la Sergio Tacchini o la Fiat in Polonia e l’Olivetti in Slovenia.

Alla Stampa del 2/10/96, Mistri, docente di economia internazionale a Padova, ha formulato senza pudori la Hit Parade dello sfruttamento capitalistico della forza lavoro nell’est: "la Slovenia è stata di gran moda, ma ora è scesa, troppo cara. l’Ungheria è per i raffinati disposti a spendere qualche cosa di più. Scende la Bulgaria. Quanto all’Albania è troppo ardua, tranne che per i vicini pugliesi, la Romania tiene ma di grande appeal, negli ultimi tempi, è l’Ucraina dove il costo del lavoro è il più basso d’Europa". Una esauriente zummata che la dice lunga da cosa l’Occidente volesse liberare nell’89 il proletariato dell’est.

In Romania, ad esempio, si concentra l’imprenditoria del nord est, che "delocalizza" nelle proprie regioni e si trasferisce in questo paese in quanto può beneficiare del vantaggio di una manodopera a basso costo, con un salario dieci volte inferiore a quello italiano medio, oltre che dell’acquisto a prezzi stracciati di capannoni dismessi, immobili e qualt’altro. La Romania è diventata perciò la terra promessa tanto per il grande imprenditore, quanto per il piccolo che insegue anche lui quelle condizioni di supersfruttamento. Alcune zone - in particolare quelle settentrionali - sono tra l’altro il serbatoio della manodopera femminile dal momento che le produzioni qui installate sono quelle del settore tessile, dell’abbigliamento e del calzaturiero. Settore quest’ultimo presente massicciamente anche in Albania dove migliaia di operaie per 120 mila lire nette al mese compreso il sabato, cuciono le tomaie delle scarpe. In Albania arrivano, in meno di 50 minuti, con l’apposita compagnia privata Ada-Air gli imprenditori pugliesi, che per la cucitura delle tomaie qui riescono a risparmiare fino al 50% a prodotto. Ma a quali condizioni per le lavoratrici ?

Il racconto di un appagato porco sfruttatore nostrano è molto indicativo al riguardo: "Sa cos’è stato impararle a star sedute sette ore? (...) Ma adesso ti rendono già l’80% delle italiane, a 120 mila lire nette al mese". Ma il porco vanta anche altre soddisfazioni verso queste operaie che ogni tanto invita a cena. "Mi sento ringiovanito di vent’anni. Sono un maestro per queste ragazze che quando arrivai avevano i peli lunghi così sulle gambe e adesso si passano tutte, dico tutte, sulle labbra un rossetto da mille lire come segno di libertà..." E via continuando fino al vomitevole: "Quando hai assaggiato la donna albanese non torni più indietro".

Ed alle considerazioni del responsabile della Albaco Shoes si aggiungono quelle non meno spregevoli di tale Cortellino, titolare di una azienda di Barletta, la Cofra: "Parliamoci chiaro, quelle ti saltano addosso anche perché il maschio albanese che mangia pane e cipolla non dà la stessa soddisfazione dell’europeo ben nutrito. Ma sono brutte, sporche. Allora so di un collega che tra 300 ne ha presa una. L’ha sgrassata, lisciata, vestita e se la porta appresso". Ma la "normalità" con la quale questi imprenditori sentono di esprimere senza alcuna remora la tracotanza della loro classe di appartenenza, sembra venire meno qualche giorno più tardi quando - a fine ottobre - alla Albaco Shoes le "sottomesse" operaie che lì vi lavorano danno vita, a seguito di queste interviste, a due giorni di sciopero.

La produzione viene bloccata, i conquistatori nostrani si sentono insicuri, raddoppiano la sorveglianza, hanno il sentore di una certa ostilità che va ben oltre la fabbrica, temono, insomma, che si sia rotto quello che chiamano con un certo eufemismo "un clima di fiducia", mentre una parte del personale italiano chiede la sostituzione.

Questa risposta di lotta è per noi altamente significativa per varie ragioni tra di loro strettamente connesse. Innanzitutto disvela la vera natura dell’imperialismo italiano che, in concorrenza con i paesi più forti, tenta di accreditarsi come il capitalismo buono e dal volto umano. Così buono da accompagnare il supersfruttamento delle operaie albanesi con il loro asservimento come donne. Così umano da razziare la capacità lavorativa del proletariato albanese e, insieme a ciò, i corpi e la dignità delle sue donne. Così diverso dagli altri paesi imperialisti da aver preparato questa corsa all'oro con la preventiva azione militare della missione "Pellicano" (quella di cui l'Unità ha celebrato, nel '94, l'"ottimo lavoro" compiuto a Tirana e dintorni!).

La risposta di lotta delle operaie albanesi mostra, poi, il modo in cui può essere ricacciata in gola all'imperialismo la sua arroganza predatrice: fondendo la ribellione contro l'oppressione femminile con la battaglia di classe contro l'intera opera di civilizzazione del capitale imperialista. Un "messaggio" che le operaie della Abaco Shoes hanno lanciato al resto delle donne albanesi e anche a quelle che la civile Italia trasforma in concubine a tempo-pieno per i suoi signori (anche squattrinati) nei marciapiedi e nelle case di Milano, Roma...

La lotta delle operaie albanesi getta, infine, un ponte a tutte quelle proletarie che in Italia - soprattutto al sud- subiscono lo stesso duplice oltraggio, come proletarie e come donne (pur se in forme meno selvagge e brutali). Parla per tutti l'ultimo caso venuto alla luce, quello del calzaturificio-stalla di Lizzanello in Puglia. Chissà perché, i grandi mezzi di informazione, quelli ai quali non sfugge neanche il tipo di profumo o foulard usato dalla Pivetti, quelli che fanno a gara a che presenta per primo la foto del più insignificante evento che accade non solo sulla terra ma nell'intero sistema solare, chissà perchè, questi mezzi d'informazione (compresi quelli "ottimisti e di sinistra") hanno diligentemente oscurato lo sciopero delle operaie della Abaco Shoes...

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