Come lottare contro la globalizzazione capitalistica?

Dalla rivolta argentina alcune lezioni 
per i lavoratori di tutto il mondo.

La vicenda argentina fornisce innanzitutto un esempio di cosa è la globalizzazione capitalistica.

Era un paese che riforniva di cereali e di carne l'Europa e il mondo intero. Oggi è alla fame. Come è potuto accadere? Per gli sperperi, la corruzione, la miopia, la politica della classe dirigente argentina? Sicuramente anche per questo. Ma le scelte politiche di fondo che hanno affondato l'Argentina non sono un prodotto made in Argentina. Sono state imposte attraverso il cappio del debito estero da fuori, dalle borse di New York, di Milano, dalle cancellerie delle capitali occidentali. È da qui che i governanti argentini hanno tratto "ispirazione" per imporre la libertà di licenziamento, la privatizzazione delle imprese statali, il taglio delle spese sociali e dei salari. A che fine? Al fine di aumentare al massimo la ricchezza prodotta dai lavoratori argentini, di ridurre al minimo la quota incamerata da essi per la loro esistenza e di inviare la differenza nei forzieri dell'Occidente a pagare gli interessi del debito estero... La fame l'ha causata il terrorismo del mercato capitalistico!

Non è, inoltre, un prodotto made in Argentina neanche il "clima" politico che ha permesso di imporre questa cura da cavallo ai lavoratori argentini. È vero che la dittatura instaurata nel 1976 e l'eliminazione dell'avanguardia del movimento operaio argentino sono stati messi in opera dai generali di Buenos Aires. Ma ci sono oramai decine di prove a mostrare che essi sono stati "ispirati" dai centri di potere occidentali. Come poteva sennò una Fiat avere in Argentina lavoratori a salari più bassi di quelli italiani? E avere a disposizione quelle braccia prive di tutela sindacale, serviva (e serve) alla Fiat anche per imporre condizioni peggiori agli stessi lavoratori di Mirafiori, di Arese o di Pomigliano d'Arco... La fame l'ha causata il terrorismo dello stato argentino su commissione di quelli occidentali!

Molti lavoratori argentini, la stragrande maggioranza dei ceti medi hanno sopportato per anni e anni queste politiche. Speravano che la subordinazione agli interessi aziendali e ai piani dei mercati finanziari internazionali avrebbe prima o poi portato qualcosa di buono anche a loro. Non è stato così. Non poteva essere così. O il debito estero o la gente! O la sottomissione alla volontà delle banche o i bisogni dei lavoratori! Dovremmo trarne insegnamento (fatte le debite differenze) anche qui in Italia: i padroni e il governo non affermano che se si desse una maggiore libertà all'impresa e si accettassero i "consigli" del capitale finanziario, si avrebbe più lavoro e benessere anche per i proletari?

Ma c'è un'altra lezione che proviene dall'Argentina: cambiare si può! smettere di arretrare si può!

La politica seguita dai governi argentini di destra, di centro e di centro-sinistra è stata contrastata per anni e anni da una piccola avanguardia politica, che ha trovato la sua anima nelle Madres de Plaza de Mayo (l'associazione delle madri delle decine di migliaia di giovani militanti fatti sparire dalla dittatura dopo il 1976). Sembrava che questa attività di opposizione tra le gente, non tra i banchi parlamentari, non portasse alcun risultato. Col tempo, invece, la denuncia e l'appello all'organizzazione e alla lotta delle Madres ha trovato una crescente simpatia tra la popolazione, man mano che essa sperimentava sulla propria pelle le politiche liberiste. Negli ultimi mesi sono sorti comitati di lotta comuni di lavoratori e di disoccupati, ci sono stati diversi scioperi generali. A dicembre, infine, di fronte al nuovo piano d'austerità, la rivolta collettiva, l'assalto ai supermercati, la determinazione a cacciare il governo in carica. Il governo e le forze dell'ordine hanno risposto con il fuoco. Decine di morti. Ma la gente, questa volta, non si è lasciata intimidire. Il movimento di lotta è cresciuto ancora ed è riuscito a rovesciare il governo di centro-sinistra e quello successivo. E a fermare così, per il momento, il nuovo attacco contro il popolo lavoratore.

Eccola la grande lezione argentina: fermare le politiche dettate dai mercati finanziari è possibile; ci vuole la lotta di massa, organizzata, estesa; ci vuole la determinazione a mandare a casa il governo che si fa esecutore delle scelte delle borse e delle multinazionali.

Ma dall'Argentina, emerge anche un'altra verità. È vero che i lavoratori argentini per il momento sono riusciti a mettere un alt al rullo compressore che li vuole schiacciare. Per bloccarlo e liberarsene, però, hanno bisogno che venga innanzitutto annullato il debito estero, e cioè l'idrovora che li ha spremuti e saccheggiati. Le banche e le multinazionali occidentali non lo accetteranno. Lo hanno già detto. Hanno già cominciato le loro manovre a scala internazionale. Come ricatto, ad esempio, la Fiat ha chiuso i suoi stabilimenti in Argentina e trasferito la produzione in Brasile. I lavoratori argentini potranno vincere se 

anch'essi entreranno a far parte di un fronte di lotta internazionale, se i capitalisti troveranno ovunque lavoratori in lotta, lavoratori che, come in Argentina, diranno:

"Ni un paso atras!", "Non un passo indietro!"

I componenti di questo fronte internazionale cominciano ad essere in campo. Sono i campesinos brasiliani, le masse lavoratrici del Venezuela, gli operai e i contadini dell'Africa Australe, le masse sfruttate palestinesi e dell'intero mondo islamico, sono i lavoratori di colore immigrati in Occidente, sono le masse femminili del Nordamerica e del resto del mondo, sono gli stessi lavoratori bianchi occidentali. Tutti questi reparti del grande esercito mondiale del lavoro sono sottoposti all'attacco dagli stessi poteri forti mondiali che hanno ridotto alla fame l'Argentina.

Certo, le politiche con cui essi cercano di incrudire lo sfruttamento del lavoro sono diverse da paese a paese. Contro i palestinesi fanno intervenire i carri armati di Sharon, contro le masse lavoratrici dell'Afghanistan e dell'area circostante le portaerei e le truppe d'occupazione neo-coloniali, contro i contadini poveri e i braccianti del Sud del mondo i vincoli asfissianti delle multinazionali e degli accordi di libero scambio, contro gli immigrati in Occidente la legge Bossi-Fini e la nuova legislazione anti-"terrorismo", contro i lavoratori bianchi d'Occidente il taglio dell'articolo 18 e la totale libertà di licenziamento... A dettare tutte queste politiche, però, sono le esigenze dello stesso meccanismo economico: il sistema capitalistico mondiale. Gli interpreti e gli esecutori di esse, i borghesi che siedono nei piani alti delle capitali occidentali, cercano di imporle differenziandole e mantenendo divisi gli sfruttati per nazione, per religione e per sesso. La forza degli sfruttati sta nel contrastare questa politica di divisione e di contrapposizione. Sta nel rendersi conto che, al di là delle differenze nazionali, sessiste e religiose, hanno un nemico comune. Ciascuno può vincerlo se lo si combatte insieme, se ciascuno appoggia la lotta degli altri senza pre-condizioni, e se si lavora per fondere tali lotte in un fronte che risponda al capitalismo internazionale alla sua stessa scala internazionale. Una delle rivendicazioni per cui questo fronte di lotta è chiamato a battersi è quella che sale dall'Argentina (e dal resto del Sud del mondo):

"Basta con il pagamento del debito estero! Annulliamolo!"
Lottare per questa conquista è interesse anche dei lavoratori bianchi d'Occidente.

Perché essa indebolirebbe i loro padroni e i loro governi, che li stanno attaccando.

Perché renderebbe meno ricattabili i lavoratori dell'America Latina (e degli altri continenti): e se questi ultimi sono meno ricattabili, la Fiat e le altre imprese occidentali, tanto per fare un esempio, avranno maggiore difficoltà a scatenare la concorrenza internazionale tra i lavoratori per ribassare in una spirale senza fine i salari e le condizioni di esistenza degli uni e degli altri.

Perché farebbe vedere ai lavoratori del Sud e dell'Est del mondo che qui in Occidente non ci sono solo i loro aguzzini, i terroristi che governano Roma, Washington, Berlino ecc., ma anche i loro alleati con cui iniziare un percorso di lotta comune.

Le iniziative in corso in questi giorni a Porto Alegre e a New York mostrano che questo percorso è già iniziato. Per andare avanti ha bisogno che la lotta degli sfruttati si organizzi e si estenda, in Argentina come qui in Italia. E ha bisogno di affrontare, nella lotta e sulla spinta di essa, la questione centrale che riguarda l'intero mondo e che l'Argentina ha così bene messo a nudo: per rompere la spirale di crisi e miseria, i lavoratori devono spezzare i tentacoli che emanano direttamente dai centri della finanza e della politica mondiale; il che richiama, al di là dell'attuale loro coscienza, non un'impossibile riforma del sistema sociale esistente, ma la necessità di un'altra organizzazione sociale. Un'organizzazione sociale che non può essere ristretta ai confini nazionali e che non può essere che il comunismo internazionale.

Per portare avanti una simile battaglia i lavoratori sono chiamati ad affrontare l'irrinunciabile terreno della lotta politica, la questione del potere della società, dunque la necessità di lavorare per costruire un partito internazionale di classe. Una strada difficile? Sicuramente, ma c'è forse un'altra via per sbarrare la strada al capitalismo decrepito e al carico di dolore che sta riversando sull'umanità lavoratrice?

 

Organizzazione comunista internazionalista


 


O il debito o la gente, questo è il dilemma.

Cosa ne facciamo del terrorismo del mercato, che sta castigando l'immensa maggioranza dell'umanità? Non sono forse terroristici i metodi degli alti organismi internazionali, che su scala planetaria dirigono le finanze, il commercio e tutto il resto? Non praticano forse l'estorsione e il crimine, non uccidono forse oltre che con le bombe per asfissia e per fame? Non stanno forse facendo saltare in aria i diritti dei lavoratori? Non stanno forse assassinando la sovranità nazionale, l'industria nazionale, la cultura nazionale? (...) Il debito o la gente, questo è il dilemma. E adesso la gente, qui in Argentina, quella un tempo invisibile, pretende e vigila.

Edoardo Galeano, scrittore latinoamericano