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Dal mondo


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Dopo aver fin qui parlato di Germania e Italia, di Europa, volgiamo ora lo sguardo alla situazione esistente al di fuori della metropoli. Si tratta di poco più che rapide e sommarie carrellate, ma bastanti, crediamo, per cogliere in essa tre tendenze interdipendenti.

La prima è quella a un ingerirsi sempre più in profondità, e con mezzi sempre meno pacifici, dei capitali e degli stati imperialisti nella vita dei continenti di colore, e perfino nel perimetro della ex-URSS (da cui si è levato di recente un emblematico "giù le mani dal petrolio russo" del "moderato" Cernomyrdin).

La seconda è quella a una formidabile polarizzazione sociale tra le locali classi borghesi (e proprietarie in genere) da un lato, la massa dei proletari, degli sfruttati, dei diseredati dall’altro.

La terza tendenza è costituita da un’intensificazione della risposta di lotta del proletariato (e delle masse supersfruttate) sia all’imperialismo predatore che alle "proprie" classi sfruttatrici complici di esso nell’oppressione sui lavoratori, anche quando esistano serie ragioni di conflitto con l’Occidente (come nel caso della Cina o dell’Iran).

Nessun angolo del mondo extra-metropolitano si sottrae a queste tendenze. Le elezioni in India, ad esempio, hanno evidenziato con la crisi verticale del partito-regime del Congress-I, l’emergere di un partito "integralista" di destra delle "caste alte" e l’iniziale contro-polarizzazione politica degli oppressi Dalit (con il caso-simbolo della eroina Phoolan Devi), che un’epoca di "blocchi interclassisti" è finita; e un’altra di acute contrapposizioni di classe si apre. E le battaglie cui le truppe francesi e statunitensi sono state costrette nella Repubblica centro-africana e in Liberia non segnalano, forse, insieme certo ad un rischio bosniaco, anche un odio crescente, negli stessi soldati "regolari" africani, verso il mondo dei neo-colonizzatori? E la semi-rottura annunciata in Sud Africa tra l’ANC ed il partito dei proprietari bianchi razzisti di De Klerk non segnala forse l’impossibilità di una graduale uscita pacifica dall’apartheid proprio a causa del non cancellabile peso delle attese e delle rivendicazioni del proletariato nero?

Naturalmente, non vediamo al presente e non ci aspettiamo per il futuro alcuna "simultaneità" o "omogeneità" di sviluppi tra le diverse situazioni (l’Asia del Sud-Est è "rampante", l’America del Sud precipitante) , né una geometrica linearità nell’acuirsi degli antagonismi (che di continuo il capitale cerca di deviare). Tutto è e sarà molto più complicato di quanto ci s’immagini in certe visioni estremiste-infantili. Ci basta notare, però, come tutto il mondo sia già un unico grande campo di battaglia, tra una borghesia che trova sempre più difficile controllare con mezzi "ordinari" l’incombente crisi storica del proprio sistema, ed un proletariato che, ad onta di quanti lo danno per defunto o impotente, non si è arreso, non si è fatto cancellare, ma reagisce ovunque agli attacchi del nemico di classe. E’ vivo e lotta con "sorprendente" (non per noi) energia.

Gli manca ancora, è vero, di aver riconquistato il suo programma di rivoluzione sociale internazionale, e di violenta distruzione delle istituzioni di classe borghesi. Gli mancano ancora una politica rivoluzionaria e la sua organizzazione di classe. Ma se continuerà ed estenderà le sue lotte, e se l’avanguardia comunista saprà fare la sua (non surrogabile) parte, a cominciare dalla partecipazione e dall’indirizzo delle lotte in corso, anche quel che oggi manca, domani verrà.

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